La certificazione delle competenze delle assistenti familiari

di Daniela Oliva - Istituto per la Ricerca Sociale, Bologna
Settembre 2012


Essere competenti non significa solo avere risorse (conoscenze, capacità di base, atteggiamenti, strumenti…), ma essere in grado di mobilitarle nelle situazioni che lo richiedono
. La competenza non coincide, infatti, con la sola “prestazione”, anche se quest’ultima può essere, certamente, un indicatore di competenza.

Il riconoscimento e la valorizzazione delle competenze è un diritto fortemente sostenuto dalla Comunità europea che da anni sollecita gli Stati membri a dotarsi di strumenti in grado di accertare e formalizzare le competenze acquisite dai cittadini in contesti non formali e informali.

La recente legge di riforma del mercato del lavoro (Legge 92/2012) affronta esplicitamente la questione dell’individuazione e validazione degli apprendimenti non formali e informali nei termini di “servizi effettuati su richiesta dell’interessato, finalizzati a valorizzare il patrimonio culturale e professionale delle persone e la consistenza e correlabilità dello stesso in relazione alle competenze certificabili e ai crediti formativi riconoscibili” (art.4, comma 58a). Entro sei mesi dall’entrata in vigore della nuova legge, c’è l’impegno a emanare uno o più decreti legislativi per la definizione delle norme generali e dei livelli essenziali delle prestazioni per l’individuazione e la validazione degli apprendimenti non formali e informali, con riferimento al sistema nazionale di certificazione delle competenze.

La questione è, comunque, di antica data. A titolo esemplificativo, a livello nazionale è in corso un progetto interregionale coordinato dalla Tecnostruttura delle Regioni per il Fondo Sociale Europeo (“Verso la costruzione di un sistema nazionale di certificazione delle competenze”) che prosegue le attività iniziate nella passata programmazione 2000-2006. Oltre alle Amministrazioni promotrici (Piemonte, Emilia Romagna, Lombardia, Toscana, Provincia Autonoma di Trento) aderiscono a questo progetto le Regioni Basilicata, Lazio, Molise, Puglia, Sardegna, Umbria e Valle d’Aosta.

In questo frangente, solo alcune Regioni hanno già predisposto strumenti in tale direzione. Ad esempio, la Regione Emilia Romagna (L.R. 12/2003) si è dotata di un Sistema Regionale di Formalizzazione e Certificazione delle Competenze (SRFC) relativo agli standard professionali essenziali presenti nel repertorio del Sistema Regionale delle Qualifiche. Il che ha consentito, come vedremo a breve, di affrontare in maniera organica la questione della certificazione delle competenze delle assistenti famigliari.

Dunque, come anche chiaramente evidenzia la nuova legge sul mercato del lavoro, la questione della certificazione delle competenze è considerata un “diritto” delle persone alle quali la pubblica amministrazione risponde con l’erogazione di un “servizio a domanda”. In verità, la questione può essere affrontata anche dal punto di vista di chi utilizza queste competenze.

E’ interessante osservare che questo diverso punto di vista (il riconoscimento delle competenze come garanzia della qualità della prestazione professionale) non ha avuto particolare rilevanza se non nel momento in cui si sono aperti spazi occupazionali rispetto ai quali non esisteva una figura professionale riconosciuta dalla domanda di lavoro (le famiglie). Il lavoro di cura domiciliare privato è un esempio eclatante in questa direzione. Un nuovo spazio, nel mercato del lavoro, occupato da persone immigrate che svolgevano funzioni per le quali non erano richiesti particolari requisiti professionali (non perché non fossero necessari, ma perché non richiesti da una domanda di lavoro – le famiglie -“nuova” e privata) e per il quale si riteneva di non poter utilizzare le figure professionali esistenti (operatori socio sanitari) in quanto essenzialmente pensate e formate per essere impiegate in un contesto di servizi di welfare (pubblici o privati, ma, comunque, organizzati).

L’evoluzione terminologica relativa a queste nuove figure professionali che si è registrata nel giro di pochi anni (da badanti ad assistenti famigliari) è testimonianza non solo della consistenza e importanza di questo mercato, ma della consapevolezza che esisteva (ed esiste tuttora) di un problema che possiamo genericamente definire di “affidabilità professionale” di coloro che svolgono questo lavoro. Problema affrontato, in prima istanza, con il tradizionale “passa parola” e, successivamente, con programmi pubblici (vedi, ad esempio, Equal che, per primo, ha affrontato in maniera sistematica questo tema) finalizzati a innalzare il livello di qualificazione professionale delle badanti con massicci programmi di formazione teorica di base.

Programmi che, per il progressivo ridursi delle risorse pubbliche, ma anche per le particolari caratteristiche di questo mercato non sono diventati parte integrante dei sistemi di formazione professionale. Peraltro, affidabilità professionale (presenza di competenze che consentano di avere prestazioni soddisfacenti) non è sinonimo di qualificazione professionale (acquisita in contesti formali) e, la consistenza numerica, nel giro di pochi anni, di assistenti famigliari che avevano acquisito esperienza “sul campo” ha riportato l’attenzione su una modalità teoricamente meno onerosa della formazione classica per garantire la qualità delle prestazioni professionali, ovvero, il riconoscimento (in senso terminologico, non amministrativo) delle competenze acquisite in contesti non formali e informali, ovvero “sul campo”.

Per rimanere nell’esempio della Regione Emilia Romagna, la questione della qualificazione professionale era stata affrontata definendo un programma breve di formazione teorica (120 ore) finalizzata all’acquisizione di competenze tecnico-professionali e relazionali certificabili con una “dichiarazione di competenze” e il riconoscimento di crediti per l’accesso al percorso formativo per il conseguimento della qualifica di Operatore socio-sanitario (1000 ore), anche nella logica di offrire alle assistenti famigliari che avessero un progetto migratorio di lunga durata un possibile percorso di carriera professionale (nella pratica, queste 120 ore sono state ulteriormente articolate su tre livelli di 40 ore per consentire una più agevole frequenza dei corsi e, oggi, è stato predisposto un DVD per l’autopprendimento).

Le metodologie e gli strumenti per individuare e riconoscere le competenze acquisite al di fuori dei percorsi formativi riconosciuti, in assenza di linee guida e direttive nazionali, sono state definite a livello di singole Regioni, ovviamente, là dove si prevede una regolamentazione del sistema di competenze. Ma esistono anche strumenti che si limitano a individuare e accertare le competenze pregresse con la finalità principale di garantire l’affidabilità della lavoratrice dal punto di vista delle sue prestazioni, anche se tale individuazione può, successivamente, essere utilizzata per avviare a percorsi di formazione in grado di migliorare il livello di qualificazione professionale.[1] 

E’ interessante evidenziare come il nostro Paese sia rimasto molto indietro nell’affrontare queste tematiche e come già siano in corso progetti europei finalizzati alla ricerca di modelli di certificazione delle competenze pregresse delle assistenti famigliari applicabili a livello europeo[2]: modelli accompagnati da sistemi finalizzati a integrare la qualificazione posseduta con sistemi di autoapprendimento on-line, proprio per superare le difficoltà connesse alla frequenza di attività formative in aula.

Una ulteriore evoluzione sul tema della qualificazione delle assistenti famigliari riguarda lo sviluppo di competenze nel’ambito delle TIC (tecnologie dell’informazione e della comunicazione) in quanto si ritiene che l’acquisizione di competenze digitali da parte delle assistenti famigliari migliori la qualità dell’assistenza agli anziani e la qualità della vita degli anziani stessi.[3] 

Ci troviamo, dunque, davanti ad un caso in cui il problema di garantire la qualità della prestazione professionale a datori di lavoro non convenzionali ha portato all’attivazione di percorsi formativi tradizionali prima e allo sviluppo di sistemi di accertamento delle competenze pregresse, poi. E ha portato, progressivamente, alla costruzione di una nuova figura professionale che, in prospettiva, potrebbe affiancarsi a quelle definite attraverso percorsi di formazione formali.



[1] Citiamo, ad esempio, il software Madreperla che, nell’ambito del progetto RissBo gestito da IRS e finanziato con il FSE dalla Provincia di Bologna, si sta attualmente sperimentando in tutti i Centri per l’Impiego della Provincia. Madreperla prevede una sezione di accertamento delle competenze possedute dall’assistente famigliare, oltre che una sezione di analisi dei bisogni dell’anziano che facilitano l’incrocio domanda/offerta di lavoro.

[2] IRS è capofila del progetto europeo UPcaring (UPgrading CARe service with innovative skills certification, e-learning and matchING systems).

[3] Su questi temi, IRS è partner di due progetti europei: “CareNET- Building ICT competencies in the long-term care sector to enhance quality of life for older people and those at risk of exclusion” e “Care+: Ageing well in the community and at home: developing digital competences of care workers to improve the quality of life of older people”.
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