Il welfare italiano chiede un’immigrazione normale

di Sergio Pasquinelli e Giselda Rusmini
Luglio 2018

 

Ci sono interi comparti del welfare che si reggono su forza lavoro immigrata: la cura a domicilio, con le badanti, l’assistenza sanitaria, soprattutto operatori sociosanitari che vedono una forte presenza straniera. Di queste professioni abbiamo e avremo sempre più bisogno.


Chiusura dei porti e arresto dei flussi stanno distogliendo completamente il nostro sguardo dai meccanismi per favorire una immigrazione “normale”: per esempio quella che riguarda questi lavori. E’ urgente mettere a tema l’attivazione di nuovi flussi di ingresso, senza i quali il welfare dei servizi rischia l’implosione.

 

Sulla non autosufficienza le risposte sono (quasi) ferme


Guardiamo il lavoro domestico. Qui il lavoro regolare conosce una lenta erosione da sei anni a questa parte. Gli ultimi dati Inps la confermano, attestandosi a un totale di 864 mila lavoratori. Ma con importanti differenze tra le colf, in caduta libera dal 2012, e le badanti, che non hanno mai smesso di crescere, seppur lievemente (figura 1).


I dati ufficiali, certo, ci dicono come sempre una parte della verità. Stime caute ci dicono che i numeri reali sono almeno doppi di quelli che registra l’Inps.

 

Figura 1 - Colf e badanti registrate all’Inps e anziani 65+ utenti di ADI, SAD e RSA, anni vari (valori assoluti)

Fonte: Inps, Osservatorio sul lavoro domestico; Istat, Interventi e servizi sociali dei comuni singoli e associati; Istat, Indagine sui presidi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari; Istat, Indicatori territoriali per le politiche di sviluppo; Ministero della Salute, Annuario Statistico del Servizio Sanitario Nazionale, anno 2016. Per i servizi Sad, Adi e Rsa i valori per gli ultimi due anni sono stimati.

 

Allarghiamo ora lo sguardo ad alcuni tra i principali servizi per gli anziani non autosufficienti: l’assistenza domiciliare integrata delle Asl (Adi), i servizi di domiciliari dei Comuni (Sad) e l’assistenza in RSA.


Nessuno di questi servizi, tranne l’Adi, è cresciuto negli ultimi 8 anni.
L’Adi è l’unico servizio che tende a raggiungere un numero crescente di anziani, ma a fronte di un significativo calo di ore annue di assistenza per utente, già di per sé limitate (da 20 ore medie annue del 2007 a 17 del 2013[1]). Il Sad mostra un andamento inverso: diminuiscono gli ultra 65enni che beneficiano del servizio, ma aumenta l’intensità dell’assistenza (ibidem). L’assistenza residenziale, secondo i dati Istat, riguarda un numero tendenzialmente stabile di anziani non autosufficienti.


Un simile scenario farebbe pensare a bisogni stagnanti. Ma non è assolutamente così: nel periodo di tempo considerato nel grafico gli anziani sono passati da 11,9 milioni nel 2009 a 13,5 nel 2017; oltre un milione e mezzo in più. Il tutto con un sistema di risposte dedicate alla non autosufficienza sostanzialmente fermo.


E il futuro, come sappiamo e ha certificato ancora una volta l’Istat , vedrà un ulteriore invecchiamento della popolazione, legato anche al transito delle coorti del baby boom (1961-76) dalla tarda età attiva all’età senile, che raggiungerà l’apice tra vent’anni, quando la quota di ultrasessantacinquenni sarà vicina a un terzo della popolazione totale.

 

Perché le badanti non aumentano?


Intanto perché le possibilità di accedere in modo regolare nel nostro paese si sono drasticamente ridotte: l’ultimo decreto flussi che riservava una quota per colf e badanti risale al 2011, mentre il decreto del 2018 contempla dimensioni numeriche irrisorie, con soli 12.850 posti per lavori non stagionali, di qualsiasi tipo .


Per le famiglie sono tre le possibilità: assumere italiane o comunitarie (in prevalenza romene); rivolgersi a una persona irregolare; oppure accollarsi in proprio gli oneri della cura. Difficile dire quale scelta prevalga, ma ciascuna di esse in realtà lascia le famiglie in balìa di se stesse. Con una scelta, quella di assumersi in proprio gli oneri della cura, che sarà sempre meno sostenibile negli anni, stante la diminuzione sul medio periodo delle risorse di caregiving (leggi: figli e figlie) interna alle famiglie.


E poi abbiamo un’offerta di assistenza che vede diminuire le assistenti familiari disposte alla co-residenza, perché più integrate nella società italiana e autonome dal punto di vista abitativo. Le italiane stesse non lavorano quasi mai nel segmento della convivenza. E tuttavia la domanda di aiuto h24 è ancora consistente e ciò fa ancora ricadere sulle famiglie carichi di cura gravosi.
Come si stanno muovendo le politiche pubbliche di fronte a questi cambiamenti?

 

Una immigrazione necessaria


Nel contratto che lega i due partiti al governo si parla di “agevolare le famiglie” che ricorrono a una badante. Allo stesso tempo si parla di espulsioni di chi è irregolarmente presente sul suolo italiano. Nel caso del lavoro di cura le due affermazioni si contraddicono.


La stima degli stranieri che si trovano in condizione di irregolarità sul nostro territorio è di 500 mila persone, tra questi almeno 100 mila sono colf e badanti (Qualificare.info www.qualificare.info). Cioè chi quotidianamente si prende cura degli anziani e delle persone non autosufficienti. Cosa farà il nuovo esecutivo? Deciderà di espellere anche loro o, riproponendo un noto refrain, sta già pensando a una nuova sanatoria?


Negli anni il numero di lavoratori domestici irregolari, cioè senza permesso di soggiorno, è diminuito, ma rimane una parte consistente del fenomeno. Se è ragionevole calcolare in almeno 850.000 gli assistenti familiari in Italia, di questi cautamente stimiamo che almeno 70-80mila siano senza permesso soggiorno. Ad essi possiamo aggiungere come minimo 20.000 colf nella medesima condizione.


Oggi l’attenzione pubblica è tutta concentrata sui flussi nel Mediterraneo, ma il tema immigrazione è molto più ampio. Nessuno parla più di quanto sia totalmente inadeguata la legge Bossi-Fini per regolare i flussi di ingresso nel nostro paese. In un contesto come quello del lavoro di cura, dove il datore di lavoro dovrebbe chiamare a distanza un lavoratore che non conosce. Di immigrati abbiamo bisogno come risorsa strutturale, e alle badanti continueremo a rivolgerci per cercare di rispondere a un bisogno di assistenza che non trova risposte nei servizi pubblici. I quali, come abbiamo visto, non stanno crescendo.

 


[1] Barbabella et al., La bussola di NNA, in NNA (a cura di), L’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia. 6° Rapporto. 2017/2018. Il tempo delle risposte, Maggioli Editore.

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