SAD 2.0: perché abbiamo bisogno di nuovi servizi domiciliari

di Sergio Pasquinelli
Marzo 2019

 

I SAD, i servizi di assistenza domiciliare sociale dei Comuni, furono negli anni Settanta l’elemento che innovò l’assistenza a disabili e anziani, facendo crescere una rete di aiuti il più prossima possibile al bisogno.


Per molti anni quella della domiciliarità è stata una bandiera e un punto fermo, la rivendicazione di un diritto a vivere, con gli aiuti necessari, a casa propria. In un contesto che contemplava soprattutto il ricovero in residenza come risposta alternativa, e in cui le dimensioni della domanda di assistenza non avevano nulla di comparabile con la situazione odierna.

 

Tutelare la domiciliarità “sociale”


Negli anni molte cose sono cambiate: intanto i bisogni, nei volumi e nelle caratteristiche (si pensi alle demenze); è entrato in scena un nuovo soggetto: le badanti; le case di riposo hanno articolato i propri servizi, aprendosi parzialmente e avvicinandosi al territorio.


I servizi di assistenza domiciliare dei Comuni sono progressivamente diventati servizi di nicchia, marginali. Oggi servono meno del 2% degli ultra 65enni, con una modesta intensità: una media di 3 accessi alla settimana. Ciò è dovuto a una pluralità di ragioni: investimenti limitati, presenza dilagante del mercato privato della cura, nonché la tariffazione dei servizi, ossia l’applicazione di costi a carico delle famiglie, poco convenienti per molte di esse.


Tornare a parlare di servizi domiciliari può essere utile per capire come e dove si gioca il futuro di una rete sociale di sostegni. Sociale in senso proprio, cioè non sociosanitaria (coperta dall’ADI), ma riguardante esigenze di aiuto, relazione, accompagnamento. Sostegni attivanti con una fondamentale funzione preventiva rispetto al deterioramento delle condizioni di salute.

 

Tre aree di risposta


1.    C’è in primo luogo l’area del fai da te, che poggia sulle fragili gambe dei caregiver familiari. E’ l’area più vasta. In Italia si contano più di cinque milioni di caregiver familiari. Ma il loro numero è destinato, per ragioni demografiche, progressivamente a diminuire negli anni, così come sono destinati ad aumentare gli anziani soli e isolati.


2.    La seconda area è quella delle badanti, regolarmente assunte o irregolari. Dopo la forte crescita che ha conosciuto questa presenza, raggiungendola cifra stimata di circa 870.000 unità, le dimensioni di questo fenomeno sembrano essersi stabilizzate, alla luce dei più recenti dati Inps e dei segnali provenienti dal mercato sommerso, ancora florido[1].

 

3.    La terza area è rappresentata dal servizio pubblico, sotto forma di assistenza sociale (SAD) e sociosanitaria (ADI). Entrambi questi servizi presentano un raggio d’azione limitato: soprattutto i primi, ma anche nel caso dell’ADI, che serve solo il 3% degli ultra 65enni con uno spiccato carattere di temporaneità, che si traduce in una media di meno di 25 accessi annui per utente[2]. Nel caso dei SAD, la sua tariffazione fa sì che solo le fasce più basse in termini di valori Isee (grosso modo sotto i 15.000 euro) lo trovino conveniente, rispetto al mercato privato della cura.
E così la loro presenza si è ridotta e via via marginalizzata, a favore di una utenza sempre più ristretta, povera, sola[3].

 

Dove andare?


A questo punto per i SAD si apre un bivio: continuare a rispondere a una domanda che è il residuo di ciò che non trova risposta altrove, con i limiti di un servizio molto ristretto nei numeri e nell’intensità, oppure utilizzare l’esperienza e il radicamento territoriale finora sviluppato a servizio delle cure domiciliari nel loro complesso? In altre parole svolgere un ruolo di “tampone” rispetto alla domanda più povera e isolata o viceversa diventare strumento di una “politica regolativa” dell’assistenza a domicilio?

 

Un nuovo ruolo per i SAD


I SAD possono riposizionarsi con un ruolo cruciale nella rete dei servizi: quello di governo e coordinamento di sistema. Dentro una “Domiciliarità 2.0”, una rete che li valorizza in relazione ai bisogni degli anziani e delle loro famiglie, creando connessioni tra risorse, possibilità, esigenze diverse. Molti territori sperimentano soluzioni organizzative interessanti, inedite, da cui apprendere.
Questa sfida verrà vinta nella misura in cui i SAD sapranno rinnovarsi e riqualificarsi, potenziando il proprio valore aggiunto in termini di professionalità acquisite e in termini di una organizzazione che supera i limiti di un intervento solamente “prestazionale”. Per andare in questa direzione è importante seguire almeno tre linee di metodo:


1.    Distinguere tra livello micro e livello macro. La sovrapposizione di questi due piani è spesso fonte di fraintendimenti e confusioni. C’è un livello che riguarda i singoli utenti, le prestazioni a loro rivolte, le funzioni di case management con le famiglie. E c’è un livello più complessivo, che riguarda gestione delle attività nel loro insieme, la gestione degli accessi, l’integrazione con la sanità, la regolazione del mercato. Il primo livello riguarda gli operatori di base, il front line. Il secondo funzioni di connessione, lavoro di rete, regia, gestione della spesa, valutazione.


2.    Definire la mission del nuovo SAD. Se è vero che il SAD non è più il servizio di assistenza domiciliare "per eccellenza" ma una risorsa tra le altre, la sua mission può e deve cambiare: non solo e forse non tanto gestire servizi ma presidiare la rete di cura, facilitare, integrare, garantire livelli minimi di qualità.


3.    Aprire spazi di sperimentazione. Occorre “scongelare” il rapporto uno-a-uno su cui i SAD si sono costruiti, mettendo in relazione aiuti diversi: assistenza di base con quella specialistica, trasporti, residenzialità temporanea, ristorazione, acquisto di medicine, disbrigo di pratiche burocratiche, ma anche iniziative di socializzazione e così via. In questa logica si tratta di creare dei “ponti” tra diversi attori, capitalizzando le professionalità finora maturate dalle assistenti di base a beneficio di chi è professionalmente più fragile: per esempio le badanti regolarizzate, interessate e disponibili a qualificarsi. Con azioni di supervisione che lascino meno sole le famiglie nel mercato privato della cura.

 

Conclusioni[4]

 

Sulla linea di far crescere servizi domiciliari nuovi sono in corso diversi tentativi. Richiamo tre percorsi in modo particolare.


Primo, l’accreditamento dei soggetti fornitori. L’accreditamento crea un mercato regolato che valorizza la qualità degli interventi e cerca di minimizzare, quando non di eliminare, le distorsioni dovute a una concorrenza sul prezzo. Il Comune di Torino e quello di Milano sono, tra i tanti, quelli che hanno intrapreso questa strada. E’ ancora aperta, tuttavia, la domanda su quanto e come i sistemi di accreditamento siano effettivamente riusciti a innalzare la qualità dei servizi offerti e l’efficienza delle cure domiciliari, stante anche le diverse modalità con cui l’accreditamento è stato impostato e realizzato.


Secondo, la creazione di interventi “condominiali”: il caso tipico è la badante di condominio. Le esperienze del Comune di Roma e di molti altri enti locali italiani convergono nell’indicare, tuttavia, alcuni ostacoli su questa strada, il principale dei quali è legato alla sua organizzazione. Una figura di questo tipo ha bisogno di essere reclutata, coordinata e presidiata nella sua attività. Chi sostiene questi costi di “sovrastruttura”? I riscontri ad oggi ci dicono che è molto difficile trovare famiglie disposte a pagare di più una badante rispetto al costo di un’assunzione in proprio.


Terzo, la formazione on the job delle assistenti familiari da parte degli operatori dei servizi domiciliari. Gli interventi di sostegno e formazione “in situazione” si sono moltiplicati in diversi contesti regionali. Si tratta di azioni che tendono di volta in volta ad “alleggerire” le richieste d’assistenza che arrivano ai servizi e a garantire alle famiglie un minimo di qualificazione e controllo sullo svolgimento dell’attività di cura prestata dalle assistenti familiari. Si tratta di interventi apprezzati che prefigurano interessanti possibilità di sviluppo.

 

 

[2] Si veda Network Non Autosufficienza (NNA), L’assistenza agli anziani non autosufficienti. Sesto Rapporto, Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 2017.

[3] Per una rassegna delle criticità dei servizi domiciliari in Italia, si veda R. Tidoli, La domiciliarità, in Network Non Autosufficienza, (NNA), L’assistenza agli anziani non autosufficienti. Sesto Rapporto, Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 2017.

[4] Il 9 maggio dedichiamo una giornata a ripensare una nuova domiciliarità. Qui il programma e le modalità di iscrizione: https://www.irsonline.it/novita-6#n203

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