Il mercato privato dell'assistenza nelle Marche

di Emmanuele Pavolini - Università Politecnica delle Marche, Dipartimento Scienze Sociali
Aprile 2006

 

La Regione Marche (Assessorato alla conoscenza, istruzione, formazione e lavoro) ha promosso nel corso del 2005 una ricerca che permette di inquadrare le caratteristiche assunte dal fenomeno del lavoro di cura svolto da lavoratori stranieri nella regione (1).

Sotto il profilo quantitativo si può stimare che complessivamente vi siano fra i 13.000 ed  i 14.200 lavoratori stranieri che si occupano di lavori di cura a domicilio nelle Marche. Di questi fra i 5.500 ed i 6.100 circa non hanno un contratto di lavoro regolare. Per quello che riguarda l'assistenza agli anziani non autosufficienti vi sono fra gli 11.600 e i 13.800 lavoratori stranieri nelle Marche.

Ci si trova quindi di fronte ad un settore occupazionale tutt'altro che trascurabile in termini quantitativi. Per avere un termine di paragone si pensi che il settore tessile/abbigliamento e quello della meccanica, settori tradizionalmente centrali nella economia regionale, avevano nel 2001 rispettivamente 21.320 e 25.261 addetti (dati censimento ISTAT Industria e Servizi) a fronte dei 13.000-14.000 stimabili per il lavoro di cura.

Naturalmente non è corretto comparare il solo lavoro regolare (quello del tessile - abbigliamento e della meccanica) con una stima del lavoro regolare ed irregolare, ma il confronto può essere utile per dare una idea delle grandezze e della rilevanza del mercato del lavoro della cura.

Tenendo presente che vi sono fra gli 11.600 e i 13.800  lavoratori stranieri nelle Marche che si occupano di anziani non autosufficienti, si è stimata l'importanza dell'apporto di tale forza lavoro rispetto alla domanda potenziale. A partire da alcune elaborazioni effettuate su dati ISTAT ed INPS, gli anziani non autosufficienti a domicilio nelle Marche sono stimabili fra 23.300 e 24.200. Se si confrontano le stime sul numero di assistenti familiari straniere che lavorano con gli anziani con il numero complessivo dei non autosufficienti over 65, si può ipotizzare un tasso di copertura di circa la metà degli anziani con problemi di autosufficienza.

Rispetto ai bisogni delle famiglie il mercato privato della cura, legato principalmente ad assistenti familiari stranieri, gioca quindi un ruolo di primo piano, talvolta integrativo, ma spesso presumibilmente sostitutivo, di quello pubblico. Per avere un termine di paragone occorre tenere presente che gli utenti dell'ADI e quelli del SAD sono stati nel 2003-2004 a livello regionale rispettivamente 7.100 e 4.500, numeri nettamente minori di quelli coperti tramite i lavoratori stranieri.

Data la rilevanza del fenomeno del mercato privato del lavoro di cura sia in termini di occupazione che di copertura dei bisogni, lo studio - attraverso la realizzazione di 600 interviste ad assistenti familiari - offre alcune chiare indicazioni in merito alle caratteristiche del lavoro svolto, che ci mostrano una realtà complessa e su cui è difficile esprimere una valutazione solo in un senso (positivo o negativo):

- oltre il 70% dei lavoratori straneri è complessivamente soddisfatto del lavoro svolto; non è sempre chiaro però se tale soddisfazione diffusa si basi su un senso abbastanza profondo di realizzazione per le attività svolte o nasca da un realismo disincantato (assenza di altre chance lavorative, bisogni di guadagnare impellenti, difficoltà a regolarizzarsi, etc.);

- circa un quarto dei lavoratori non ha permesso di soggiorno (27,1%), anche se una parte sta cercando di regolarizzarsi attualmente;

- oltre il 40%, indipendentemente dal proprio stato di soggiornante, non ha un regolare contratto di lavoro (42,8%);

- una larga maggioranza dei lavoratori convive con l'assistito (il 63,4%) e solo in poco più di un terzo dei casi riesce a lavorare ad ore (36,2%);

- i redditi netti percepiti per il lavoro svolto sono in media di 700 euro;

- il carico orario giornaliero di lavoro è spesso particolarmente pesante, visto che i due terzi degli occupati è impegnato per più di 8 ore (36,2%).

Per molti si tratta di un lavoro che dà soddisfazione, avendo presumibilmente ponderato da un lato la fatica e lo stress, dall'altro le risorse economiche ottenute (spesso in nero). Inoltre le relazioni con l'assistito e la sua famiglia si dimostrano in genere almeno buone, se non ottime, rispettivamente nell'80,1% e nel 73,4% dei casi.

Nella valutazione del lavoro di cura occorre però tenere presenti anche altri fattori, di per sé preoccupanti per la qualità delle prestazioni offerte e della vita del lavoratore. Per quanto riguarda la professionalità, sono pochi (l'11,5%) i lavoratori già con esperienze in patria nel campo della cura e anche meno (6,3%) quelli che hanno seguito corsi formativi qui in Italia; a fronte di questa situazione un quarto ritiene di non essere preparato su tutti gli aspetti dell'attuale lavoro (24,8%); l'aspetto positivo in questo quadro è rappresentato dalla disponibilità a partecipare a corsi di formazione professionalizzanti (69%), purché non di lunga durata (in genere pari o inferiori alle 100 ore).

L'analisi ha rilevato la forte presenza di meccanismi di segregazione orizzontale rispetto al mercato del lavoro di cura, nel senso che questo appare un tipo di attività facilmente reperibile da parte degli immigrati, ma da cui è difficile uscire in cerca di altre occupazioni; il 40,9% dei lavoratori vorrebbe passare ad un lavoro di cura ad ore ma è convinto di non trovarlo; una percentuale quasi simile (38,1%) desidererebbe impiegarsi in un lavoro differente ma teme che non sia possibile trovarlo; quasi un lavoratore su due (48%) ha cercato altri impieghi ma tale ricerca è stata infruttuosa.

Spesso le condizioni di lavoro sommerso, estremamente diffuse, quando non dipendono dall'assenza di permesso di soggiorno, sono collegabili alla mancata volontà della famiglia di mettere in regola.
A questo quadro possiamo aggiungere tre ultime annotazioni.

Il lavoro di cura svolto da stranieri appare in realtà raccogliere in sé due condizioni e due mercati del lavoro profondamente differenti; l'uno caratterizzato dal lavoro ad ore, in cui il livello di tutele (regolarità contratto, riconoscimento malattia, ferie, etc.) è più alto ed il peso lavorativo più contenuto ed in linea con altri lavori manuali; l'altro caratterizzato dalla co-residenza, in cui si ha spesso un livello di tutele più limitato ed un maggiore stress in termini di carico di lavoro sopportato (ore, mancanza di spazi e di tempi autonomi per il lavoratore, etc.). In questo secondo caso le condizioni di lavoro sono in alcuni casi tali da farlo assomigliare ad una occupazione servile più che ad una attività da economia e società civile del XX-XXI secolo.

A questi due mercati del lavoro, in parte differenti, tendono a sovrapporsi abbastanza bene le varie nazionalità; sembra che si sia verificata una divisione del lavoro che vede principalmente i lavoratori del Centro Est Europa nel secondo tipo di situazione (lavoro co-residente, etc.), quelli Sud Americani nel primo tipo di situazione (lavoro ad ore) e gli altri gruppi in situazioni più intermedie; ciò deriva dai differenti tipi di percorsi migratori che caratterizzano in prevalenza i vari gruppi etnici / nazionali, visto che per gli Est Europei prevale l'idea di un inserimento momentaneo nel contesto locale, volto ad accumulare risorse per tornare in patria, dove continua a risiedere la famiglia, mentre negli altri casi (in particolare per i Sud Americani, ma non solo) il lavoro femminile si inserisce in una più generale strategia familiare di radicamento del nucleo sul territorio italiano.

Il quadro del lavoro di cura svolto da stranieri è quindi composito e all'interno di questo mondo si possono individuare vari profili / identikit, caratterizzati da differenti aspirazioni e strategie di percorso migratorio, valutabili in termini di aspettative di permanenza in Italia e di volontà di continuare a svolgere il lavoro di cura. Circa un quinto dei lavoratori stranieri ha intenzione di rimanere a lungo in Italia, continuando a svolgere assistenza (21,4%), mentre ve ne è un altro quinto che intende rimanere poco in Italia, continuando a svolgere attività di cura.

Nota
(1) Il rapporto di ricerca completo è scaricabile al seguente sito: http://www.armal.marche.it/Pubblicazioni/Lavoro%20Flash/lavflash17.htm

 

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