I tagli che non fanno rumore

di Sergio Pasquinelli - Istituto per la Ricerca Sociale, Milano
Gennaio 2011

 

Milano, martedì 7 dicembre, la "prima" della Scala sta per iniziare con la Valchiria di Wagner. Il direttore Daniel Barenboim giunge in sala e, al posto della bacchetta, prende in mano la Costituzione, leggendone l'articolo 9 per protesta contro i tagli alla cultura. Il gesto viene ampiamente ripreso da stampa e mezzi di informazione. Non avrà sortito l’effetto sperato ma ha aiutato a tenere il tema in agenda.
 
In silenzio. Se guardiamo al sociale ciò che colpisce di più è il silenzio intorno ai tagli deliberati. Più pesanti di quelli sul Fondo unico per lo spettacolo. Rispetto ad altri settori e anche ad altri paesi, la comunicazione pubblica sul welfare dei servizi è molto carente e frammentaria. Quello dei tagli di spesa sembra essere un tema troppo tecnico per essere affrontato dai media nazionali. Oppure talmente delicato da rinviare a questioni più generali da trattare in chiave politica. E ideologica. Non è avvenuto un vero dibattito sui tagli possibili: in quale modo esercitarli, chi preservare dalle scelte più difficili, che cosa mantenere e che cosa sacrificare.  
Persino ex post sull’azzeramento del Fondo per la non autosufficienza, 400 milioni di euro che vengono a mancare da quest’anno, le reazioni sono state a dir poco modeste.

I tagli.
L’unico “successo” si è registrato per il terzo settore, con i fondi in parte ripristinati sul 5 per mille. Per il resto il panorama è desolante. A partire dal Fondo nazionale per le politiche sociali, un po’ il padre di tutti i fondi per il sociale, nato tre anni prima della 328 e quest’anno ridotto a 275 milioni di euro (erano 435 nel 2010, 584 nel 2009). Cui seguono vari altri tagli[1], tra cui spicca la riduzione del Fondo per le politiche della famiglia: dai 185 milioni dell’anno scorso a 51. Avrebbe dovuto dare le gambe al lungo elenco di buone intenzioni emerso nella Conferenza nazionale di Milano di inizio novembre: ora sappiamo che quelle intenzioni rimarranno in larga misura tali. 
Cresce poi la lista dei fondi letteralmente azzerati: dopo il Piano straordinario per i nidi ora il Fondo per la non autosufficienza. Un azzeramento quest’ultimo pesante, rispetto a cui la risposta da parte di sindacati, terzo settore, rappresentanza dei Comuni (che più di tutti lo pagheranno) è stata finora flebile, quasi rassegnata.

E le prestazioni monetarie?
I tagli colpiscono la rete dei servizi, il livello territoriale. Prestazioni gestite a livello nazionale, preponderanti in termini di spesa, non sono state minimamente sfiorate da alcuna ipotesi di riforma. Valga per tutti l’esempio dell’indennità di accompagnamento: una misura granitica per cui  verranno spesi quest’anno tredici miliardi di euro. Tutti i servizi sociali dei Comuni italiani costano la metà di questa sola misura: 6,6 miliardi nel 2008 secondo l’Istat. 
Se alziamo cioè lo sguardo il ritornello "son finite le risorse" si rivela falso: il problema è come vengono spese.
Il messaggio che il governo manda è esplicito: ci disimpegniamo dal welfare dei servizi, mentre manteniamo salda la gestione del welfare monetario, quello che riguarda i vari assegni familiari, per l’assistenza e l’invalidità. Un insieme di misure ingessate, poco efficienti e perequative, che assorbono i quattro quinti della nostra spesa sociale.

Non autosufficienza
. Per i non autosufficienti[2] il sistema assistenziale è oggi essenzialmente basato su due colonne portanti.
 
Da una parte i servizi che regioni ed enti locali governano e producono. Per mantenerli e svilupparli le Regioni dovranno sempre più attingere risorse dalla sanità e dal socio-sanitario, che presentano disponibilità ben maggiori del sociale. Con il rischio di “sanitarizzare” l’assistenza, di spostarla verso le situazioni più gravi e di ridurne i contenuti più propriamente sociali, di orientamento, promozionali, preventivi, domiciliari, di comunità.  
Dall’altra un’erogazione monetaria nata trent’anni fa e da allora mai migliorata, l’indennità di accompagnamento, insensibile alle condizioni economiche di chi la percepisce e priva di alcun vincolo di utilizzo, quindi votata ad essere la fonte primaria del welfare fai-da-te, quello del mercato sommerso delle assistenti familiari.
 
Serve una vera ristrutturazione della spesa sociale: per superare i limiti delle prestazioni monetarie nazionali; per rafforzare un sistema dei servizi penalizzato in Italia a favore dei trasferimenti economici; per qualificare in modo non episodico il lavoro privato di cura. Non c’è bisogno della bacchetta magica, nemmeno quella di Barenboim, serve una visione di sistema, l’intenzione di cambiare e la capacità di scegliere.


[1] Si veda la puntuale ricostruzione di Carlo Giacobini, direttore di HandyLex.org: http://www.handylex.org/gun/legge_stabilita_politiche_sociali_disabili.shtml
Sulle conseguenze dei tagli rinvio a: S. Pasquinelli, Chi pagherà i tagli al sociale?, in “Prospettive Sociali e Sanitarie”, n. 20, 2010.

[2] Sulla realtà dei servizi per gli anziani si veda: Network Non Autosufficienza (a cura di), L’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia. Secondo Rapporto, Maggioli Editore, 2010.
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