Le riforme delle politiche sociali per gli anziani in Europa.
Il caso svedese

di Andrea Ciarini - Università di Roma, La Sapienza
Marzo 2009

 

Le politiche sociali per gli anziani non autosufficienti costituiscono un campo di analisi privilegiato per analizzare il mutamento del welfare in Europa. I cambiamenti intervenuti nella domanda sociale spingono i governi nazionali a ricercare nuove combinazioni di offerta, sia in termini di servizi che in trasferimenti, che tendono a discostarsi dalle tradizionali forme di intervento. Questo vale per i paesi che sul terreno dell’offerta di politiche socio-assistenziali si trovano in grave ritardo, come l’Italia, ma in generale anche per quei contesti nazionali, come i paesi scandinavi, in cui più ampia è stata la capacità di risposta delle istituzioni pubbliche.
 
Il ciclo di riforme affrontate per esempio dalla Svezia negli ultimi due decenni rende bene l’idea di questo mutamento. Se guardiamo alle riforme delle politiche per gli anziani a cavallo tra gli anni Novanta e Duemila si possono notare importanti novità. Dal sistema della fornitura pubblica e della copertura universale delle politiche, il ciclo di riforme inaugurate nel 1992 con la Legge Adel ha avuto conseguenze rilevanti sia sull’estensione dell’offerta, sia sul rapporto tra intervento pubblico e famiglie, sia, infine, sulla composizione degli attori, non solo pubblici ma anche privati, implicati nell’offerta di prestazioni sociali.
 
In primo luogo bisogna dire che gli effetti delle riforme varate hanno influito sulla riduzione dei livelli delle prestazioni pubbliche. Questo mutamento, tuttavia, non va interpretato come l’esito di una privatizzazione dei servizi di cura o di uno spostamento in direzione della familizzazione di alcune prestazioni, ma piuttosto alla luce di un processo di razionalizzazione dell’offerta che in larga misura ha interessato i servizi accessori di assistenza “leggera”, quali ad esempio l’aiuto nelle pulizie del domicilio e nelle faccende domestiche, la cura personale. In parallelo al restringimento di alcuni interventi accessori, ha corrisposto un’intensificazione del care verso i soggetti anziani meno autosufficienti. In sostanza, se sono diminuiti i tassi di copertura nel loro complesso, è tuttavia aumentata l’offerta di assistenza per i gruppi a più alto rischio.
 
A questi mutamenti si è accompagnato, proprio nell’assistenza “leggera”, un incremento del numero dei caregivers familiari (anche se non a tal punto da influire negativamente sulle possibilità di accesso al mercato del lavoro da parte delle donne) e dei servizi acquistati sul mercato della cura. Il dato più interessante qui non è rappresentato dal solo aumento del numero dei caregivers familiari, per cui in molte municipalità la disponibilità o meno di un partner è entrata a fare parte dell’attività di valutazione e selezione della domanda, ma anche dalla presenza di interventi di compensazione e riconoscimento sociale per l’attività di cura prestata all’interno della famiglia. Si tratta di interventi ad hoc, gestiti direttamente delle amministrazioni e pensati per il singolo familiare che presta assistenza.
 
Accanto alla possibilità di beneficiare di congedi dal lavoro per la cura dell’anziano dipendente, sono presenti in questo paese diversi tipi di assegni per l’attività di cura in famiglia, tra cui i trasferimenti monetari concessi dalle amministrazioni locali all’anziano per rimborsare l’assistenza del familiare, e i rimborsi diretti al caregiver equiparati al salario di un prestatore pubblico di servizi di assistenza. Meritano una particolare sottolineatura qui le misure di compensazione per il caregiving parificate alla retribuzione di un operatore pubblico. Pur nell’esiguità del loro utilizzo, le caratteristiche poste alla loro base ci appaiono assai interessanti, in quanto la Svezia è stato l’unico paese in Europa insieme alla Finlandia ad avere introdotto un contributo economico al familiare parificato al salario di un dipendente pubblico.
 
Più recentemente, accanto a queste misure di compensazione per l’attività di cura familiare, sono stati promossi programmi volti al rafforzamento dell’assistenza ai caregivers, in termini di attività formative, orientamento, ascolto e supporto psicologico, che vedono implicati gli attori del terzo settore. Questo rappresenta un importante riorientamento delle prerogative di queste organizzazioni nel sistema svedese e scandinavo, là dove, a una tradizione associativa caratterizzata da alti livelli di membership, ma non direttamente implicata nella fornitura di servizi di welfare (che tradizionalmente sono di prerogativa dell’attore pubblico), i recenti mutamenti sembrano prefigurare un maggiore grado di coinvolgimento del terzo settore all’interno del sistema della governance dei servizi socio-assistenziali, anche se al di fuori della competizione pubblico-privato e essenzialmente nei servizi di assistenza “leggera”.
 
Proprio sul terreno della gestione dei servizi, l’introduzione di modelli gestionali ispirati alla concorrenza pubblico-privato, costituisce una delle più importanti innovazioni dei processi di riforma. La riforma Adel del 1992 ha introdotto criteri gestionali fondati sul sostegno alla solvibilità della domanda, per il tramite di strumenti come i voucher che permettono all’utente di scegliere tra la fornitura privata e quella pubblica. Tale sistema tuttavia non identifica un vero e proprio modello di mercato sociale dei servizi fondato sulla promozione delle possibilità di scelta dell’utente-consumatore. Il potere di scelta qui è limitato alla possibilità di optare, o per la fornitura pubblica o per quella privata. Inoltre il voucher che è stato introdotto non è una forma di trasferimento monetario puro e semplice, per il quale è l’utente che sceglie tra le diverse destinazioni d’uso. Qui le amministrazioni pubbliche conservano ancora rilevanti strumenti di intermediazione e supervisione che permettono un certo controllo sull’offerta dei servizi. La scelta del fornitore è continuamente monitorata e intermediata dagli operatori municipali. Il referente dell’utente rimane sempre l’operatore municipale, presente costantemente nel rapporto di fornitura, dalla valutazione della qualità del servizio, alla scelta o meno di cambiare provider. A questo si aggiunga che se più del 50% dei municipi svedesi ha adottato nel corso degli anni Novanta questo modello di competizione pubblico-privato, ancora la maggior parte dei servizi assistenziali per gli anziani è erogata dalle autorità pubbliche locali. D’altra parte la centralità della dimensione pubblica, pur all’interno di mutamenti che coprono ampie aree dell’organizzazione della cura, la si ritrova altresì nella “gestione” degli effetti indotti dal decentramento territoriale delle prestazioni. La presenza di meccanismi di perequazione capaci di incidere sui massimali delle tariffe e sulla possibilità per le autorità locali di determinare il prezzo delle prestazioni, sembrano avere avuto la funzione di controbilanciare le spinte alla differenziazione provenienti dai municipi.

 

Articolo tratto da Ciarini A., 2007, Famiglia, Mercato e azione volontaria nella regolazione del «sistema della cura»: una comparazione tra Italia e Svezia, Rivista Italiana di Politiche Pubbliche, n.3, pp. 41-76

 

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