di Fabrizio Tagliabue - Cooperativa Sociale Centro Assistenza Familiare Acli di Sesto San Giovanni
e portavoce del Forum Terzo Settore della Lombardia.
Giugno 2006
La propensione alla regolarizzazione del rapporto di lavoro è legata al progetto migratorio delle badanti. Lavorare in regola, infatti, comporta maggiori garanzie di permanenza (rinnovi del permesso di soggiorno, possibilità di ricongiungimenti familiari, conseguimento della carta di soggiorno) e possibilità di accedere al credito, ad esempio per finanziare l'acquisto della casa di abitazione, ma significa anche subire trattenute fiscali e previdenziali, guadagnare meno in assoluto, quindi, e disporre di minori risorse per i trasferimenti monetari alla famiglia di origine. Spesso non è solo il datore a proporre un contratto parzialmente regolare, ma è la badante che propone un'assunzione per sole 25 ore settimanali (a fronte del tempo pieno) e "tratta" sull'ottenimento di una parte di guadagno in nero. L'interesse a dichiarare nel contratto tutte le ore di lavoro è motivata, principalmente, dalla necessità di richiedere un mutuo per l'acquisto di una casa oppure dalla volontà di richiedere il ricongiungimento familiare. La prima motivazione sta diventando di una certa rilevanza, fra coloro che decidono di stabilirsi in Italia, a causa del costo altissimo degli affitti a Milano e della relativa accessibilità dei mutui. In altri termini: si devono accettare maggiori vincoli per ottenere maggiori garanzie e tutto ciò è conveniente solo se l'orizzonte temporale del progetto immigratorio è di lungo periodo. E' interessante a questo proposito notare significativi scostamenti tra badanti provenienti da paesi lontani (Ecuador, Perù...) il cui progetto migratorio è caratterizzato da orizzonti temporali medio lunghi (a volte non definiti), e badanti provenienti dall'est Europa, in genere disponibili a brevi periodi di permanenza alternati da ritorni in patria abbastanza frequenti.
Molte lavoratrici del care privato, inoltre, maturano l'esigenza di acquisire maggiore professionalità, di fare un salto di qualità e vedersi riconoscere la dignità del proprio lavoro e si orientano appena possibile verso percorsi che consentono di superare una condizione lavorativa ritenuta un ripiego. Per queste badanti accettare una condizione lavorativa scomoda è soltanto questione di tempo.
Le resistenze della famiglia alla qualificazione delle proprie assistenti sono legate alla indisponibilità a concedere tempo "libero" oltre quello previsto dal contratto di lavoro e alla scarsa percezione della qualifica professionale come elemento di qualità dell'assistenza. Curare un anziano è visto come qualcosa che per tradizione si è sempre fatto in famiglia, senza alcuna specifica preparazione.
E' curioso, analizzando le domande rivolte ai datori di lavoro, registrare come quasi unanimemente dichiarino la preferenza per badanti preparate e competenti, mentre esprimono forti resistenze circa la disponibilità a favorire la partecipazione a corsi di qualificazione: è un paradosso che evidenzia il disagio dei datori di lavoro nel riconoscersi tali.
La propensione a partecipare ai corsi di formazione è di una certa rilevanza per le badanti che non hanno alcuna preparazione, mentre chi ha già una formazione professionale di ambito socio-sanitario aspira comprensibilmente al riconoscimento della propria qualifica o quanto meno alla frequenza di un corso OSS, con l'obiettivo di smettere di lavorare a domicilio. Negli ultimi tempi, stante l'aumento delle badanti clandestine (prive cioè del permesso di soggiorno e per questo più competitive sul piano tarrifario), si registra una domanda formativa delle badanti in regola con la legge sull'immigrazione. L'aspettativa è di trovare un posto di lavoro più facilmente e conservare il diritto al rinnovo del permesso di soggiorno.
Fra coloro che partecipano ai corsi di formazione per badanti viene a crearsi non di rado un senso di frustrazione perché l'aspettativa è quella di conseguire una qualifica spendibile sul mercato del lavoro (mentre questi corsi in genere rilasciano un attestato di partecipazione) che consenta di fare "un salto di qualità". Quindi il corso di formazione per le badanti, per essere appetibile, deve conferire un titolo che abbia una spendibilità, o quanto meno costituire credito formativo per il conseguimento di una qualifica di più alto livello in ambito socio assistenziale.
Il ruolo dell'Ente Locale
Gli immigrati faticano a percepire il Comune come interlocutore istituzionale, ciò si spiega in quanto queste persone, dovendosi rapportare con gli organi di Polizia, la Prefettura, la Questura, percepiscono molto di più il ruolo dello Stato e dei suoi uffici decentrati.
Il Comune non è molto percepito come il soggetto che realizza gli interventi sociali nell'ambito delle cure domiciliari, infatti spesso la badante interviene dove non riescono o non possono arrivare i servizi comunali e quindi non è facile che la badante entri a contatto con gli stessi (anzi frequentemente ignora l'esistenza dei servizi).
Ma spesso anche l'amministrazione comunale vede il fenomeno dell'immigrazione come un'espressione di disagio sociale e tende a sviluppare maggiore attenzione verso quell'area dell'immigrazione che fa parte delle cosiddette nuove povertà. E' difficile tutto sommato che badanti ed ente locale entrino in contatto al di fuori delle procedure amministrative riguardanti l'anagrafe.
Se si vuole creare qualche connessione tra l'universo dei servizi pubblici e quello del badantato occorre promuovere occasioni di incontro e di reciproca conoscenza.
Se l'ente locale vuole assumere il ruolo di facilitatore-regolatore dei rapporti di lavoro domestico finalizzati all'assistenza, deve cercare di immedesimarsi nelle condizioni dei soggetti che sono al centro di questo rapporto.
Un possibile ruolo per l'ente locale è quello di favorire l'emersione dei rapporti di lavoro, spingendo sul piano della legalità ciò che attualmente ristagna nella palude del sommerso.
A tale proposito è importante rilevare come uno degli ostacoli alla completa regolarizzazione del rapporto di lavoro è costituito proprio dalla previsione contenuta nella legge sull'immigrazione, che ritiene sufficiente il riconoscimento di 25 ore lavorative settimanali per stipulare un contratto di lavoro regolare con una badante convivente. Questo, ovviamente, è un disincentivo a dichiarare le ore settimanali effettive, condizione assolutamente prevalente di un rapporto di lavoro che non può che essere a tempo pieno e in cui l'assistente familiare è convivente. Denunciare correttamente il rapporto di lavoro evita conseguenze spiacevoli in sede di eventuale contenzioso contrattuale, ma comporta nell'immediato un maggiore esborso di denaro e anche per la badante l'obbligo di dichiarare i redditi, che altrimenti restano al di sotto della soglia di esenzione fiscale della "no tax area".
Un incentivo a dichiarare l'intero ammontare delle ore lavorate potrebbe venire da consistenti sgravi fiscali che però ancora mancano, fatta eccezione per la parziale deducibilità dei contributi e, a partire da gennaio 2005, per la deduzione fiscale una tantum di euro 1.820,00 concessa per le spese sostenute per la badante in caso di assistenza a persona non autosufficiente.
Troppo poco per scalzare la "convenienza" di un rapporto semi-sommerso, per giunta consacrato e legalizzato da una legge dello stato.
La più grande difficoltà culturale alla regolarizzazione del rapporto di lavoro è rappresentata però dalla percezione molto diversa della condizione della badante da parte della lavoratrice, da una parte, e dell'anziano e della sua famiglia, dall'altra. Quest'ultimo, infatti, fa molta fatica ad accettare il rapporto con la badante come un rapporto di lavoro: la badante è vista semplicemente come colei che sostituisce un familiare nell'accudimento. Per la badante questo mancato riconoscimento del proprio ruolo è fonte di frustrazione e sofferenza.
Difficile quindi, per l'amministrazione che desidera svolgere un ruolo di regolatore, operare in un contesto tanto complesso e marcato da reciproche diffidenze, vissute nell'ambito ristretto delle mura domestiche.
Occorre ammettere pertanto che finché il panorama legislativo non sarà modificato e finché il legislatore non appronterà strumenti efficaci per il sostegno all'emersione, l'azione dell'ente locale dovrà essere consapevole dei propri limiti oggettivi ed esser prevalentemente volta a superare il profondo solco che oggi separa i servizi sociali dall'assistenza "fai da te" direttamente gestita dalle famiglie in un mercato semi sommerso.