di Patrizia Taccani - Psicologa, formatrice, redattrice del mensile Prospettive Sociali e Sanitarie
Maggio 2015
“Potrei pensare a un Quid sulla cura familiare degli anziani…”. Ricordo di avere buttato lì, in una riunione di redazione di Prospettive Sociali e Sanitarie, questa proposta. Ricordo anche di essere stata assalita da subitaneo pentimento. Ma che avevo da dire, ancora, sul lavoro di cura familiare che non fosse già stato detto, che non avessi io stessa già detto? Tuttavia, l’accoglienza favorevole dei presenti fu elemento di gratificazione e spinta a sottoscrivere un impegno cui compresi non mi sarei sottratta. Del resto, mi dissi tempo dopo – quando affogavo tra le annate della rivista (in parte cartacee, in parte online) – qualche motivo lo avrò avuto per lasciarmi andare a formulare quella benedetta proposta…
Cominciò così il lavoro personale di ricerca. Sì, perché a mio modo di vedere, costruire un Quid secondo il senso che Prospettive Sociali e Sanitarie ha dato a questo strumento, non può che essere un lavoro di ricerca. Quale la mia ipotesi, allora? La si legge nella premessa, si chiarisce ulteriormente attraverso le sezioni in cui è divisa la raccolta degli articoli. Si trattava di parlare del lavoro di cura familiare rivolto ad anziani con gravi problemi di autosufficienza, con l’obiettivo di mettere in luce i risultati di un “lungo percorso teorico ed esperienziale attuato, i cui protagonisti sono stati i soggetti stessi implicati nella cura, ricercatori e studiosi, operatori dei servizi”. Tra i risultati degni di maggiore attenzione quello dell’uscita del care dal segreto delle mura domestiche e del contestuale, anche se iniziale, superamento di una cultura che non solo gli ha da sempre attribuito caratteristiche di lavoro semplice, alla portata di tutti, ma lo ha anche ritenuto naturale compito della famiglia e, più in particolare, delle donne. Ho scritto in premessa che un ruolo importante nello smuovere “le acque ancora opache” in cui era sommerso il care degli anziani fu l’arrivo in Italia del testo Counseling Elders and Their Families. Practical Techniques for Applied Gerontology (tr.it. 1986). In effetti, già dal titolo originale, si desume che per affrontare teoricamente e praticamente i problemi legati all’invecchiamento occorre ampliare lo sguardo collocando gli anziani nel contesto delle loro relazioni. Solo così sarà possibile scoprire se il sistema familiare sia di effettivo sostegno all’anziano, oppure arrivi a rendere inutilizzabile le proprie risorse, perché impigliato in un groviglio di problemi che si autoalimentano, o perché esaurito in un compito di gravosità sempre crescente o, ancora, perché bisognoso di una rete di supporti sino a quel momento mancati o insufficienti. Questo testo mi è stato prezioso per approfondire il modello sistemico applicato alle famiglie di anziani e con anziani, ma altrettanto prezioso si è rivelato tutte le volte in cui ho avuto l’occasione, come formatrice, di discutere con operatori in servizio l’ampia e particolareggiata casistica che riporta. Spero che tra le lettrici e i lettori di questo post qualcuno ne abbia memoria!
La raccolta e la successiva scelta di documentazione prodotta da Prospettive Sociali e Sanitarie con cui ho costruito il Quid Famiglie, anziani, lavoro di cura, hanno come filo conduttore la convinzione che ogni volta che un servizio affronta malattia, disabilità, non autosufficienza di un anziano e si impegna per un progetto, questo progetto richieda la conoscenza di tutti gli attori presenti sulla scena della cura familiare. In alcuni casi perché anche i bisogni dei familiari devono trovare risposta, in altri per poterne valutare le capacità di cooperazione.
Così, con i risultati della ricerca svolta lungo le annate della rivista, ho cercato di testimoniare il passaggio dai lunghi anni di un nascosto fai da te del lavoro di cura, alla svolta di una maggior visibilità anche degli specifici bisogni dei caregiver, sino a un sommesso, e poi più evidente, loro protagonismo. Vi sono esperienze dove è messo in luce lo specifico supporto dei servizi di cui i caregiver sono destinatari; altri in cui da iniziali fruitori di interventi essi stessi si attivano come risorsa del territorio. Le stesse esperienze di gruppi di automutuo aiuto, se da un lato hanno mostrato, e mostrano, di aver ancora bisogno di promozione e organizzazione da parte di operatori del pubblico e del privato sociale, quando poi si avviano, diventano spazio di intensa condivisione di chi vive l’esperienza di cura e di comune ricerca di modi nuovi di vedere e vivere i problemi. Da ultimo, anche in senso cronologico, sempre dai materiali raccolti, sono uscite testimonianze dirette su percorsi difficili e complessi come quello che porta al mal-trattamento psicologico nella relazione di cura e come quello, dopo la morte del familiare, in cui si fa un bilancio e ci si interroga sull’andare avanti. In quale direzione e come. Ho definito queste tematiche “piste da esplorare”, ancora.
Il Quid testimonia, pur in modo parziale, certamente incompleto, un processo di trasformazione culturale e sociale che ha riguardato la molteplicità dei soggetti implicati: anziani e famiglie legati nella cura e dalla cura, operatori dei servizi, più raramente e in modo meno diretto, decisori delle politiche sociali. Il processo, tuttavia, non può dirsi completato, né probabilmente lo sarà mai, come tutti i processi che riguardano i sistemi che coinvolgono persone in carne ed ossa. Occorre continuare a occuparsene con esplorazioni, riflessioni, azioni concrete, anche stimolati da quella che Jean Tronto definisce – senza mezzi termini – una verità: “La cura è una preoccupazione centrale della vita umana”.
Il Quid dispensa in pdf, curato da Patrizia Taccani è acquistabile direttamente dal sito di Prospettive Sociali e Sanitarie al costo di 6 euro.
Questo intervento è stato pubblicato sul blog Scambi di Prospettive