Ente locale e cooperazione sociale di fronte al fenomeno "badanti"

di Fabrizio Tagliabue - Cooperativa Sociale Centro Assistenza Familiare Acli di Sesto San Giovanni
e portavoce del Forum Terzo Settore della Lombardia

Aprile 2006

 

La cooperazione sociale fino ad oggi non ha affrontato il tema "badanti" in modo organico, ma deve farlo al più presto perché, volente o nolente, ne è coinvolta.

A livello territoriale, infatti, tantissima domanda, anche impropria e non sempre decodificata, di assistenza passa attraverso i soggetti del terzo settore: l'associazionismo, le cooperative stesse, il volontariato. Una certa comprensibile resistenza si è registrata da parte del sistema delle cooperazione sociale nei confronti del badantato: non è raro che la badante venga vissuta come nemica, come colei che "ruba il lavoro" agli operatori qualificati.

Una conseguenza del dilagare del badantato per una parte della cooperazione sociale è quello di abbandonare il terreno dei servizi domiciliari, che pure è stato, storicamente, la culla di molta cooperazione sociale nella prima metà degli anni ottanta. In questo caso il ragionamento è semplice: la partita per creare un sistema efficace di prevenzione è persa, le amministrazioni scelgono la scorciatoia degli assegni di cura, la presenza di figure qualificate e di processi produttivi professionali diviene insostenibile, quindi lasciamo l'assistenza domiciliare al mercato selvaggio o alle organizzazioni informali. La cooperazione sociale, sulla scorta di queste considerazioni, si ritirerebbe dai servizi domiciliari, ripiegando definitivamente sulla gestione dei servizi residenziali o semi residenziali.

E' una decisione sofferta soprattutto per la grave frustrazione di vedere compromessa l'elaborazione della progettualità dei servizi domiciliari, che tanta parte ha avuto nella creazione della cultura imprenditoriale della migliore e più autentica cooperazione sociale.

Anche illustri studiosi dei sistemi di Welfare, come il prof. Zamagni, recentemente hanno esortato la cooperazione sociale a non "condurre battaglie contro i mulini a vento", a non insistere, in altri termini, nel voler rovesciare una situazione che almeno per ora sembra del tutto sfavorevole. Sembrerebbe un invito a lasciare perdere….

Che fare?
Gettare la spugna e abbandonare (ir)responsabilmente questo settore in pasto al sommerso e ai suoi perversi meccanismi?
Insistere nei servizi domiciliari in una sorta di autolesionismo, assistendo ogni giorno impotenti alla progressiva erosione dei SAD?

Sicuramente è stata abbandonata una prima ipotesi di intervento: ottenere la completa fiscalizzazione degli oneri sociali (contributi) e consentire l'assunzione agevolata delle badanti da parte delle cooperative sociali, mediante un inquadramento in deroga al CCNL, per quel che riguarda i minimi retributivi. Un trattativa avviata in tal senso con il Ministero del Welfare si è subito arenata per mancanza di risorse disponibili. Questa soluzione avrebbe rimesso in gioco con un ruolo centrale la cooperazione sociale, assegnandole il ruolo di datore di lavoro e aprendole nel contempo l'universo del mercato privato costituito dalle famiglie.

Certamente avrebbe conseguito la regolarizzazione dei contratti e il superamento del rapporto, tanto controverso, bipolare tra l'unica badante e l'unico datore (pensiamo a una struttura di servizio comportante turni di lavoro, qualificazione e aggiornamento professionale, controllo gerarchico ecc. ecc.). Ma anche questa soluzione, ammesso fosse possibile individuare un punto di equilibrio economico,  non avrebbe risolto il problema derivante dalla massa di badanti clandestine, almeno non senza un intervento di sanatoria ad hoc. Ha senso e in tale chiave di lettura va colto quindi, il richiamo dell'illustre studioso a non pretendere di rovesciare situazioni che dipendono in gran parte da decisioni legislative nell'ambito delle politiche sull'immigrazione, più che sui servizi alla persona.

Ma se la cooperazione sociale sceglie, responsabilmente come è nel suo stile e nella sua storia, di non abbandonare il terreno delle cure domiciliari, non resta che assumere, almeno sperimentalmente, un ruolo diverso rispetto a quello di gestore dei servizi.

Ora una parte delle cooperative sociali, e tra queste quelle lombarde, stanno ragionando su cosa può legare il mondo della cooperazione sociale al fenomeno delle badanti. La mission della cooperazione sociale consiste nella produzione e nello scambio di  beni relazionali improntati alla reciprocità,  in un contesto comunitario (la città, il distretto), il che significa generare benefici per tutte le parti coinvolte in un processo di produzione di un servizio e generare valore aggiunto per la comunità. In quest'ottica, alcune cooperative coinvolte nei servizi di assistenza domiciliare stanno pensando ad interventi che potremmo definire, con un po' di creatività,  di tipo "equo e solidale".

La cooperazione sociale potrebbe assumere il ruolo di cerniera operativa tra servizi sociali e mercato privato, assicurando in tutto o in parte quella funzione di regia che oggi manca e che genera una dispersione di risorse e una perdita di efficacia.

Interventi "equi e solidali" in tal senso: contribuire a riconoscere l'assistenza domiciliare come lavoro, mettere a fuoco l'oggetto di lavoro, tanto complesso, delle cure domiciliari, sostenere la famiglia nell'assunzione delle nuove responsabilità che i sistemi di welfare le riconoscono, accompagnare la badante nell'acquisizione di una specifica professionalità e nella presa di contatto con la rete dei soggetti pubblici e privati che realizzano la risposta al bisogno di assistenza.

Una sorta di garante dei diritti con una propria cultura imprenditoriale improntata alla sussidiarietà, e non più solo un gestore professionale di servizi. Si tratterebbe , sotto certi profili, di un ritorno alle origini, quando le prime cooperative (allora non ancora sociali) dell'assistenza domiciliare nascevano dalla presa di coscienza di un nuova identità e di una specifica autonomia da parte delle colf che si trovavano a operare, da vere pioniere dei servizi sociali,  come assistenti domiciliari.

Quindi, operativamente, si tratta di aprire punti di incontro e di ascolto, sportelli (come si usa dire) per le badanti o meglio per le cure domiciliari, ridimensionando il ruolo di gestori diretti di servizi, almeno per il momento, ma assumendo il compito di regia delle cure domiciliari (ad esempio mediante l'adozione di specifici strumenti quali il PAI), collaborando strettamente con i Patronati più coinvolti nella manutenzione del rapporto contrattuale di lavoro tra  la famiglia e la badante.

Ma molta strada vi è da fare: mancano regole certe per inquadrare tale attività dentro o fuori l'ambito insidioso della intermediazione di lavoro, non è agevole creare connessioni tra il settore formalizzato dei servizi e quello "mercantile" dei soggetti privati, le famiglie non sono disposte ad assumersi oneri aggiuntivi rispetto a quelli della paga della badante…..

La cooperazione sociale può essere tuttavia da subito il partner di un ente locale che si assume la responsabilità di intervenire come soggetto facilitatore-regolatore dell'incontro domanda/offerta e di quanto ruota attorno ad esso.

L'urgenza è di non abbandonare al suo destino questo ambito tanto problematico, l'obiettivo potrebbe essere  quello di spingere le comunità a ragionare sui benefici, anche differiti nel tempo, di un'azione di governo di questo fenomeno: quello che oggi può sembrare un costo maggiore non è certo beneficenza, ma l'acquisto di una parte del proprio benessere. Rappresenta qualcosa che implica maggiore tranquillità, maggiore sicurezza e un vantaggio per tutti gli attori coinvolti.

In questo consiste il valore aggiunto che può apportare la cooperazione: far sì che l'intervento di facilitazione e di regolazione  attiri il lavoro di cura domiciliare continuativo nell'area dei beni relazionali scambiati in ambito comunitario, mentre oggi è privo di una propria identità.

Ed è un valore aggiunto che si può realizzare solo con una decisa partnership con l'ente locale e con gli altri soggetti (fondazione di comunità, sistema delle imprese, terzo settore) che contribuiscono, per scelta o per interesse, alla crescita della qualità della vita delle persone.

 

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