di Maurizio Motta - Docente di Integrazione socio-sanitaria dei servizi, Università di Torino
Settembre 2013
Crescono, per fortuna, sia concrete esperienze che analisi per costruire sistemi di assistenza domiciliare diretti ai non autosufficienti. [1] Ma è difficile veder segnalati due meccanismi che invece in questi sistemi hanno un rilievo cruciale, e sui quali qui si propone di riflettere:
1. Le situazioni delle famiglie con non autosufficienti possono essere molto diverse, ed anche mutare nel tempo; dunque è essenziale che il “modo” con il quale viene offerta assistenza al domicilio (non sanitaria ma di tutela) possa articolarsi in diverse forme, da adattare alla specifica situazione familiare. In particolare:
1.1 Vi sono famiglie e/o utenti che non solo conoscono un lavoratore di fiducia ma desiderano impiegare come badante proprio quel lavoratore, e sono in grado di gestire da sole il rapporto di lavoro al domicilio (assunzione, buste paga, versamento dei contributi): in questi casi l’intervento più adeguato è un contributo economico per aiutare nella retribuzione del lavoratore, un assegno di cura, con il vincolo di essere utilizzato per una assunzione regolare.
1.2 Se la famiglia desidera assumere un lavoratore di fiducia che già conosce, ma non è in grado di gestire da sola il rapporto di lavoro occorre poter erogare un assegno di cura ed anche prevedere la possibilità di utilizzare parte della erogazione per far gestire le incombenze del rapporto di lavoro ad una agenzia idonea, o ad uno dei fornitori dei Buoni servizio (vedi il punto 1.4 successivo)
1.3 Per utenti e famiglie che non conoscono un lavoratore di fiducia, ma preferirebbero in ogni caso l’assistenza di un lavoratore che sia alle loro dipendenze dirette, è utile un assegno di cura parte del quale possa essere usata per far reperire un lavoratore da “Agenzie di somministrazione” che Aziende Sanitarie e Comuni accreditano per queste funzioni.
1.4 Vi sono famiglie che preferiscono non avere un lavoratore alle loro dipendenze perché ciò implica gestirlo, sostituirlo, licenziarlo, attività che i familiari non sono in grado di esercitare (ad esempio perché anch’essi anziani) o non desiderano svolgere, e dunque preferiscono ricevere un operatore domiciliare dipendente da altri. In questa situazione è appropriato un intervento che consista:
a) Nel lavoro domiciliare di operatori pubblici, se può essere fornito per un numero di adeguato di ore, anche da profili di assistenti familiari non necessariamente qualificati come gli OSS.
b) In un buono servizio, ossia un titolo di credito che avvia prestazioni da parte di fornitori accreditati ad hoc da Aziende Sanitarie e Comuni. Un valore aggiunto del buono servizio consiste (se il bando di accreditamento dei fornitori lo ha previsto) nella possibilità per la famiglia di trasformare il valore del buono in una o più prestazioni, a partire da ore di lavoro a domicilio di assistenti familiari dipendenti dal fornitore, ma anche telesoccorso, pasti a domicilio, interventi di manutenzione dell’abitazione, ricoveri temporanei di sollievo, e altri supporti che il fornitore sappia mettere in opera.
1.5 Per famiglie nelle quali si desidera che il lavoro di cura del non autosufficiente sia svolto non da estranei, ma da un componente della famiglia stessa, è utile un contributo economico alla famiglia, anche per compensare le eventuali riduzioni di lavoro retribuito di chi dedica tempo al non autosufficiente.
1.6 Vi sono famiglie che preferiscono ricevere aiuto e assistenza da un conoscente, o da un vicino di casa. In questi casi, oltre alla possibilità di assumerli come lavoratori regolari retribuibili con l’assegno di cura, è utile poter attivare un affidamento del non autosufficiente, con un rimborso spese all’affidatario.
Un criterio importante è dunque che il sistema per l’assistenza domiciliare possa consentire di scegliere con la famiglia e l’utente qual è la modalità migliore in quel momento per ricevere aiuti, con possibilità di modificarla al mutare della situazione. E l’importanza per gli utenti di questa articolazione è nettamente confermata nelle concrete esperienze di chi l’ha messa in opera, come accade nel sistema della domiciliarità gestito a Torino dalle Aziende Sanitarie e dal Comune. [2]
Poter offrire un’ampia gamma di scelte nel modo di ricevere assistenza a casa consente di attivare l’intervento più appropriato, evitando di costringere le famiglie a usare solo modalità che possono essere inadatte e rischiose, come:
- dover per forza assumere in proprio una badante anche se nessuno è in grado di gestire il rapporto di lavoro ed il lavoratore, con tutti i rischi di uso improprio del denaro pubblico nonché di possibili abusi;
- dover per forza ricevere assistenza da un lavoratore che non si conosce, dipendente pubblico o di un fornitore, quando invece si ha piena fiducia in un lavoratore da assumere direttamente.
2. C’è un altro meccanismo cruciale connesso al precedente: evitare che il sistema della tutela domiciliare si fondi su una normativa (soprattutto regionale) che predetermini a priori quali devono essere le forme di intervento, specialmente se sono poche. Meglio invece che si definisca un volume di spesa erogabile (crescente per gravità e bisogni del non autosufficiente), il quale budget possa essere poi trasformato in uno dei molti interventi possibili quando si fa il piano di assistenza con la famiglia. Ad esempio è troppo rigido prevedere che a fronte di un problema di non autosufficienza si debba attivare necessariamente solo una erogazione economica alla famiglia (come alcune Regioni hanno fatto ad esempio per i pazienti con SLA). Questa modalità, anche se l’importo è consistente, non si adatta a quelle famiglie che non sono in grado di gestire solo denaro.
E’ molto meglio che il sistema preveda che al crescere della non autosufficienza cresca il budget per il piano di assistenza, e che lo si possa poi tradurre in uno o più interventi scegliendo con la famiglia il più adatto al momento e alla situazione.
Naturalmente ci sono molti altri aspetti cruciali del sistema, dall’importo del budget per garantire un volume di assistenza adeguato, all’inserimento delle badanti nel sistema delle cure, alla integrazione tra servizi sanitari e sociali. Tuttavia i due criteri prima descritti (partire da un massimale connesso alla gravità, e poterlo poi tradurre in più interventi tra i quali scegliere) non sembrano né scontati nella letteratura né molto praticati. Ed in merito paiono utili due riflessioni:
a) Se si riconosce che i due criteri sono rilevanti, non è accettabile limitarsi a prevedere che si realizzino solo per iniziative e scelte locali. Devono essere invece una caratteristica strutturale, da far attivare in tutti i territori nel costruire il sistema delle cure. E dunque anche diventare ingredienti inclusi nella definizione dei Livelli Essenziali di Assistenza.
b) La messa in opera di una gamma di interventi diversificati dipende ovviamente anche dalle risorse esistenti nel singolo territorio. Ad esempio la possibilità di offrire alla famiglia il reperimento di un lavoratore che poi assumerà dipende dall’esistenza di Agenzie di somministrazione o albi di lavoratori accreditati; e il poter fornire un buono servizio per ricevere prestazioni da un fornitore accreditato dipende dalla possibilità di reperire idonei fornitori in quel territorio. Ma non va dimenticato che l’attivazione di diverse contestuali forme di assistenza da parte delle Amministrazioni pubbliche può anche incentivare nuovi mercati del welfare, e imprenditività positive in imprese private, profit e non.
[1] Tra le analisi più recenti, con particolare attenzione al ruolo delle badanti: S. Pasquinelli e G. Rusmini (a cura di), “Badare non basta”, Ediesse, 2013.
[2] Una descrizione del sistema e degli interventi in Torino si trova in Motta M. e Tidoli R., “Modelli di domiciliarità a confronto”, Welfare Oggi, n. 4, luglio-agosto 2011. Una sintesi, "Assistenza domiciliare: Torino e Milano a confronto" è disponibile in Qualificare.info, n. 31, gennaio 2012.