di Flavia Piperno - Cespi, Roma
Settembre 2011
Quante sono oggi le assistenti familiari?
Secondo l’ultimo rapporto INPS-Caritas i lavoratori domestici iscritti all’INPS sono 480.000, il 17,6% del totale dei lavoratori iscritti all’INPS
[1]. Se aggiungiamo gli irregolari, secondo l’IRS arriviamo a quasi 800.000 persone
[2]. I dati, visto l’alta percentuale di lavoro nero, però si rincorrono. Le analisi fatte dalla Caritas e dal Censis già nel 2009 parlavano di un milione o addirittura un milione e mezzo di assistenti familiari.
E’ un numero altissimo, in aumento in tutta Europa. La differenza è che in molti paesi europei le lavoratrici straniere del settore della cura sono inserite nel sistema di welfare nazionale, lavorano attraverso i servizi pubblici. In Italia, come in molti paesi del Mediterraneo, le lavoratrici straniere lavorano al posto di servizi pubblici. Non è un caso che la maggioranza delle domestiche lavora nelle regioni del centro e del sud, dove i servizi sono più scarsi. E’ impressionante pensare che a Roma o a Napoli un immigrato su tre, tra quelli registrati all’INPS, lavora come domestico!
Chi sono le lavoratrici domestiche?
In media la donna che lavora nelle case degli italiani ha 41 anni; in più di un caso su due lavora in nero, viene dall’est Europa, è coniugata e presumibilmente ha figli nel contesto di arrivo o di origine. Naturalmente sono moltissime anche le latinoamericane (circa il 33%), mentre un numero più ridotto viene da Asia o Africa. Sono mediamente persone qualificate: circa il 18% ha una laurea e il 35% un diploma di scuola media superiore
[3].
Tante, tantissime vogliono cambiare lavoro, ma non necessariamente in modo radicale. Hanno piuttosto l’aspirazione ad una sorta di carriera interna: dalla co-residenza al lavoro ad ore; dal lavoro ad ore ad un servizio più strutturato, ad esempio come OSA o OSS all’interno di strutture pubbliche o private.
Il ruolo chiave delle Assistenti Familiari
Molte di queste donne davvero cambiano lavoro non appena la situazione glielo consente e con questo dimostrano di avere una forza negoziale molto più forte di quanto spesso non si pensi: avendo acquisito un ruolo centrale nell’erogazione di servizi alle famiglie, quando decidono che non vogliono più lavorare in co-residenza, davvero lasciano scoperto un intero segmento del welfare italiano. Non se ne danno ragione gli uffici di collocamento in molte regioni italiane che non trovano personale disposto a lavorare in co-residenza; dovranno però prenderne atto nel futuro perchè questo problema, secondo i principali esperti che si occupano della materia, è destinato a crescere nel tempo.
Di questo problema si parla poco perché per affrontarlo e risolverlo (almeno in parte) sarebbe necessario trovare dei meccanismi politici che consentano di attrarre lavoratori verso questo settore. E attrarre lavoratori vuol dire riconoscere diritti; e in più, vuol dire promuovere quel giusto desiderio di ascesa sociale delle donne: ad esempio attraverso il riconoscimento a livello nazionale dei titoli acquisiti attraverso la formazione o l’esperienza e attraverso percorsi formativi integrati in cui la formazione per diventare Assistente Familiare è una tappa della formazione per diventare OSS. Ma questo vuol dire investire nel nostro welfare; investire per sostenere i lavoratori e gli assistiti. Per il nostro governo, specie in un’epoca di crisi economica, è troppo. Si preferisce parlare di ‘esercito delle badanti’, promuovere regolarizzazioni periodiche, stupirsi quando i numeri dei regolarizzandi sono inferiori alle aspettative e rimandare a domani il problema di interi segmenti del welfare che restano scoperti.
La catena della cura
Ricordiamo infine che ‘welfare’ vuol dire benessere, e il benessere non è solo una questione di numeri, ma anche di stato d’animo. Molte delle donne che sono qui oggi sanno cosa vuol dire vivere distanti dalle persone che amano, crescere un figlio a distanza e divenire improvvisamente così dipendenti dalle cure di coloro che si occupano dei propri figli nel paese di origine. Sapete anche come è difficile ristabilire una relazione con i figli, con le persone care in occasione dei ritorni in patria o del ricongiungimento e come è doloroso ritrovare una persona che appare diversa rispetto a quella che avevamo lasciato. Una delle interviste che ho fatto nel 2005 mi è rimasta impressa più di altre perché la donna con cui parlavo riusciva ad esprimere in modo molto semplice un concetto che credo appartenga a molte donne. Parlando della sua storia di ricongiungimento diceva: “I miei figli hanno avuto una grande resistenza quando finalmente ci siamo ricongiunti. Abbiamo fatto uno sforzo terribile a riconoscerci, a riconquistarli, perchè c’era quella domanda: dov’eri quando avevo bisogno? A me veniva da dire “fuori per fare soldi per te” ma non potevo dire questo. Il bisogno della mamma supera il bisogno dei soldi.”
Le sfide di oggi
Lo sforzo che la politica deve compiere oggi è quello di imparare a capire che questi problemi non sono lontani. Una donna che affronta una storia difficile forse sarà meno in grado di offrire un servizio ottimale quando lavora; un adolescente che conosce il dolore della separazione ma anche quello del ritrovarsi, specie in un contesto difficile come l’Italia, forse avrà più problemi d’integrazione rispetto a un coetaneo. Il benessere della famiglia straniera è quindi un problema anche nostro, ha a che fare con il livello di coesione sociale che riusciamo a sviluppare sui nostri stessi territori. E’ bene che anche i nostri servizi di supporto alla famiglia adottino questa prospettiva e imparino ad avere relazioni con i servizi nei contesti locali. Ugualmente il sistema dei diritti e il mercato del lavoro deve essere più integrato tra una nazione e l’altra, altrimenti sarà impossibile creare quelle condizioni di accoglienza e attrazione del personale che come abbiamo visto sono importanti per salvare alcuni segmenti del nostro welfare. In altre parole si tratta di cambiare prospettiva e cominciare a capire che l’inclusione sociale e il benessere (non solo quello delle straniere ma anche il nostro) oggi si costruiscono non solo in una dimensione locale ma anche in uno spazio che attraversa i confini.