di Angela Groppi - Università La Sapienza, Roma
Maggio 2011
La questione degli anziani e della solidarietà tra generazioni ha assunto in anni recenti un rilievo crescente in numerose società occidentali, per via dell’inarrestabile processo di invecchiamento della popolazione che disorienta e mette sotto assedio i tradizionali sistemi di protezione sociale. Tale processo risulta particolarmente accentuato nel nostro paese che, con un indice di vecchiaia inferiore solo a quello della Germania, è tra i più vecchi d’Europa. Nonostante ciò, è proprio l’Italia a offrire uno dei panorami storiografici più sguarniti riguardo alle indagini sulla vecchiaia e sulle condizioni di vita degli anziani del passato.
Riflettendo su un simile ritardo storiografico, qualcuno ha ipotizzato che la vecchiaia sia "un soggetto ingrato, ancora più ingrato della morte". L’ipotesi è tutt’altro che peregrina, vista la tendenza diffusa a rimuovere una "metamorfosi" tanto ineludibile (a meno di non morire prima) quanto impensabile; vista anche la propensione a nascondere dietro camuffamenti illusori un’età della vita che rappresenta "una sorta di segreto vergognoso, di cui non sta bene parlare", come ha scritto quarant’anni fa Simone de Beauvoir nell’introduzione al suo libro su La vieillesse, non a caso apparso in italiano con il titolo La terza età.
Nella convinzione che studiare il passato possa aiutarci a riflettere sulle strategie da adottare nei confronti di una "galassia vecchiaia", additata spesso come una minaccia per le giovani generazioni e per gli equilibri economici nazionali, il mio libro Il welfare prima del welfare. Assistenza alla vecchiaia e solidarietà tra generazioni a Roma in età moderna (Roma, Viella, 2010) propone alcune considerazioni sul tema del welfare degli anziani prima della nascita del welfare state.
Quale era il "sistema di welfare" che prima dell’introduzione del "welfare state" rispondeva ai bisogni della popolazione anziana? A quanti anni si era considerati vecchi tra Cinquecento e Ottocento? A che età ci si ritirava dal lavoro? Come sopravvivevano gli anziani prima dell’introduzione dei moderni sistemi pensionistici? Nel passato i figli erano necessariamente il bastone della vecchiaia dei propri genitori? Che ruolo avevano nella vita degli anziani le istituzioni di assistenza? E i tribunali del tempo intervenivano a garantire il diritto agli alimenti?
Sono questi gli interrogativi da cui ha preso origine l’indagine sui rapporti tra vecchie e giovani generazioni nella Roma dei papi. Un’indagine che, fuori dai miti e dai luoghi comuni che presuppongono l’indebolimento progressivo delle responsabilità familiari e il loro trasferimento allo stato come uno dei segni della modernità, mostra come le famiglie – nel passato e oggi – risultino più o meno investite del benessere dei propri membri a seconda dell'offerta caritativa e assistenziale messa a disposizione dalle diverse società e a seconda delle leggi e dell'impegno giudiziario e sociale che definiscono e rendono operativi gli obblighi familiari reciproci e le eventuali forme di intervento pubblico.
Sullo sfondo di una trama in cui è evidente che il "problema vecchiaia" non è un’emergenza sociale recente, dovuta all’invecchiamento delle popolazione, il caso della Roma pontificia racconta una società in cui a partire dalla fine del Cinquecento la dipendenza delle persone anziane è affrontata in un regime di continue interazioni tra solidarietà familiari e politiche sociali. Una società in cui la responsabilità della famiglia nei confronti dei vecchi, lungi dall’essere la conseguenza naturale della solidarietà intergenerazionale, è costruita e di continuo sollecitata attraverso interventi giuridici e pratiche sociali che cercano di impegnare i nuclei familiari nel loro dovere primario di assistenza, in modo da contenere i costi e garantire l’efficienza organizzativa delle istituzioni assistenziali.
Insieme alla ricostruzione delle pratiche assistenziali attive negli istituti romani nei confronti della vecchiaia, l’analisi del dispositivo legale dell’obbligo alimentare verso gli anziani bisognosi ha consentito di mettere in evidenza come la sussidiarietà del compito assistenziale che ricade sulla collettività rispetto a quello che ricade sulla famiglia sia una regola di lunga durata. Il dovere legale di prestare gli alimenti – cioè il necessario per le esigenze essenziali di vita – a familiari, congiunti e affini in situazione di bisogno è un istituto antico che risale al diritto romano e non, come si può essere portati a credere in riferimento alle odierne e diffuse pratiche di divorzio, un’invenzione dei nostri tempi. Il che è una prova ulteriore di quanto i legami familiari ieri come oggi siano impregnati di determinazioni materiali oltre che di sentimenti, nonché del ruolo avuto dai sistemi giuridici e dagli apparati giudiziari nella costruzione e nell’organizzazione dei legami parentali e della solidarietà tra generazioni.
Per secoli legge e tribunali sono intervenuti in maniera spesso intrusiva nella vita degli individui, contribuendo a “fabbricare” la famiglia, a regolarla, a darle significato e norme. Tale attività ha contribuito a dare spessore storico a quell’"ideologia del sangue" che continua a governare l’odierna concezione di famiglia, creando non pochi problemi di ordine legale e fiscale non solo rispetto alle unioni di fatto ma anche riguardo a quella "parentela pratica" di amici, vicini, "badanti" su cui si trovano spesso a poter contare le persone anziane.