di Sergio Pasquinelli - Istituto per la Ricerca Sociale, Milano
Ottobre 2010
A proposito di:
Patrizia Taccani, Maria Giorgetti (a cura di), Lavoro di cura e automutuo aiuto. Gruppi per caregiver di anziani non autosufficienti, Franco Angeli, 2010 (212 pagine).
Ho letto questo nuovo libro di Patrizia Taccani e Maria Giorgetti con uno sguardo interessato. Per capire come e quanto questa pratica di sostegno reciproco, l'auto-mutuo aiuto, davvero aiuti a cambiare, a stare meglio, a vivere “con cuore riconciliato”, come avrebbe detto frère Roger della Comunità di Taizé.
E' un testo che nasce da lunghi anni di pratica delle due curatrici nei gruppi di auto mutuo aiuto, come facilitatrici di questi gruppi. Tutto il libro è intriso di esperienza diretta, di conoscenza di prima mano, a lungo analizzata, rielaborata. Per questo è una testimonianza molto preziosa, piena di spunti dal di dentro, di una pratica di aiuto che certamente si applica a molti ambiti, e che solo in anni recenti ha raggiunto il lavoro di cura svolto da caregiver di anziani non autosufficienti.
Il testo è diviso in due parti, più teorica la prima, più esperienziale la seconda. La prima parte contestualizza l’auto aiuto nell’ambito di una società sempre più longeva, che vede la presenza crescente di anziani soli, di malattie come l’Alzheimer, con la sua progressione inesorabile e lacerante, che vede il lavoro di cura deformare le strutture familiari più fragili. La seconda parte si addentra nei gruppi, ne esplora le dinamiche, i ruoli interni, i meccanismi di funzionamento, le alternative organizzative possibili, gli stili di conduzione, gli esiti. Con una ricca base di testimonianze dirette, di voci e di sguardi, di vissuti raccolti. Leggere queste pagine significa ascoltare in presa diretta che cosa succede in questi gruppi, le fasi e le evoluzioni. Con un affondo sui percorsi di auto mutuo aiuto promossi dall’Aima – Associazione Italiana Malattia di Alzheimer, avanguardia del sostegno condiviso, e dalle iniziative di GnG, associazione formata da familiari e operatori dei servizi, nata dieci anni fa in provincia di Milano e di cui Maria Giorgetti è socia fondatrice.
Questo è un libro denso: di storie, di situazioni, di elementi che fanno riflettere su quell'impegno che tende ad assorbire un bel pezzo della vita di chi se lo assume, che si chiama caregiving. Una condizione, quella delle persone che si fanno carico di un familiare non autosufficiente, che si può giovare molto del narrare, esplicitare, comunicare. Perché questa è la spina dorsale del mutuo aiuto: raccontarsi, nominare ciò che si attraversa e quindi, e dopo, darsi spazio per le storie altrui, come elemento di condivisione e di sprone per guardare avanti. Tutti atti fortemente connotati dal punto di vista emotivo: “non preoccuparti, se ti viene da piangere piangi pure, tutti noi ci siamo passati … guarda, io non riuscivo più a smettere” (pag.157).
Ho letto questo libro con la curiosità di capire in che modo questi gruppi generano cambiamento. Anzitutto risulta cruciale proprio l’inizio, l’impatto iniziale: c’è evidentemente un passaggio iniziatico che sancisce lo spartiacque tra un prima vissuto privatamente e un dopo condiviso. In secondo luogo la presenza di un tempo e di uno spazio regolato – nel modo di ascoltare e condividere, nell’assenza di giudizio, nella riservatezza, nella cadenza degli incontri, nel modo di relazionarsi e comunicare – sembra costituire un elemento indispensabile per consentire un cambiamento di visione, del modo di porsi nei confronti di sé e degli altri.
In terzo luogo emerge una dimensione chiave: la fiducia. E’ quando ci si inizia ad aprire che si fa spazio a questa risorsa fondamentale. Nel libro si parla di fiducia vicino alle pagine dedicate al clima affettivo e all’autostima. Perché è in un clima relazionale capace di accogliere che si crea quel terreno di coltura per il cambiamento: il narrarsi consente alle persone di darsi spazio, di prendere cura di sé.
Nei gruppi di pari esperienza, simmetrici nella loro composizione, la persona viene accettata per come è, viene spinta a contare sulle proprie risorse, sulla base di quello che Fritz Perls chiamerebbe un buon
auto-appoggio[1].
Dopo il momento iniziatico delle prime aperture, cruciale diventa il decentramento dello sguardo verso gli altri: “cosa fare per il tuo anziano, pensiamoci insieme… hai bisogno di una mano?”. Ed è qui che scatta l’aiuto reciproco: dal confronto protetto con la realtà. Accettando il confronto con un altro non estraneo ma capace di sentimento (“perché qui sappiamo tutti di cosa parliamo”) iniziamo a smarcarci dai gorghi del nostro malessere, della fatica, dei sensi di colpa. L’aiuto reciproco scatta quando il gruppo fa ”iniziare anche i più restii a esprimere qualche richiesta, primo passo per essere aiutati, ma anche per cogliere quali siano le risposte che ciascuno potrà trovare in se stesso”.
La vita dei gruppi di automutuo aiuto attraversa varie fasi, dall’aggregazione iniziale verso una condivisione e un senso di appartenenza sempre più forti, e infine verso l’autonomia. Che significa? Vuol dire che le persone hanno imparato a darsi spazio, a riappropriarsi della propria vita senza annullarsi nel lavoro di cura, a riconoscere i propri desideri e le proprie capacità. Allora le persone arrivano a quell’auto-appoggio, che significa stare bene con se stessi.
Quello che questo libro lascia forse un po’ in ombra, e che meriterebbe degli approfondimenti, riguarda i limiti dell’auto aiuto, i suoi possibili rischi, le difficoltà che incontra nell’intercettare un pubblico più vasto e nel trovare maggiore cittadinanza nel sistema pubblico dei servizi.
Rimane un libro da cui non si potrà prescindere parlando di mutuo aiuto nel nostro paese, non solo nella cura degli anziani, per proporne tutto il potenziale. Personalmente ho cercato di capire come queste esperienze possono aiutare a stare meglio con se stessi. Ho trovato le risposte.
Questo testo riprende un intervento uscito su “Prospettive Sociali e Sanitarie”, n. 7, 2010.
[1] F. Perls, L’approccio della Gestalt, Roma, Astrolabio, 1977.