A colloquio con Marina Merana, Comune di Torino
Ottobre 2010
Nel Comune di Torino è in atto un intervento a sostegno della domiciliarità che prevede titoli per l'acquisto di prestazioni da soggetti accreditati, fra cui assistenti familiari. Per organizzazione e dimensioni si tratta di un progetto rilevante. A Marina Merana, dirigente dei servizi sociali del Comune di Torino, abbiamo rivolto alcune domande.
Qualificare: Come è nato e si è sviluppato questo intervento?
Merana: E' iniziato nel 2001 con l'erogazione di assegni di cura nell'ambito della assistenza economica comunale. Si trattava di una erogazione a favore di persone non autosufficienti assistibili a domicilio, vincolata alla regolare assunzione di una assistente familiare. A partire dal 2004 la misura è stata contribuita anche dalle Aziende Sanitarie torinesi e, dal 2006, il sistema è stato generalizzato anche alle persone non indigenti.
Gli interventi che vedono coinvolta l’assistente familiare, figura inserita nell’area della domiciliarità[1], consistono nell’erogazione:
- di un Assegno di cura per retribuire le assistenti familiari regolarmente assunte dalla persona assistita (o suoi familiari);
- oppure di un Buono servizio per acquistare tali prestazioni dalle cooperative accreditate ad erogare i servizi domiciliari, attraverso la formula del lavoro somministrato.
L’utente cui viene riconosciuta la necessità di cura da parte di un’assistente familiare può liberamente scegliere tra le due opzioni.
Con il sistema del Buono servizio il cittadino che non vuole o non è in grado di assumere in proprio un’assistente familiare acquista le ore di assistenza da un’agenzia di somministrazione di lavoro. Per realizzare questo sistema il Comune ha previsto che i fornitori di assistenza domiciliare accreditati debbano erogare, tramite agenzie di somministrazione, anche l’intervento di assistenza familiare. Nei fatti l'agenzia che opera in ATI con i fornitori è sempre la stessa: Obiettivo Lavoro.
Questa formula è in corso di rivisitazione perché di per sé la somministrazione risolve il problema della ricerca dell’assistente familiare, della selezione e della gestione del rapporto di lavoro, ma non risolve il problema dell’organizzazione del lavoro, che resta in capo alla famiglia come responsabilità e come compito. È stata infatti rilevata la necessità di un addestramento e di un tutoraggio del lavoro delle assistenti familiari.
Qualificare: Quali sono i soggetti coinvolti?
Merana: Gli attori coinvolti nel progetto sono:
- il Comune di Torino, che ha progettato e indirizzato il processo di trasformazione e innovazione;
- le ASL torinesi, che attraverso l’Accordo di programma con il Comune hanno integrato e ampliato l’attuazione dei livelli essenziali di assistenza;
- le Cooperative sociali del territorio, che contribuiscono alla evoluzione dei servizi domiciliari con la loro esperienza e professionalità, in ATI con l’Agenzia per il lavoro “Obiettivo Lavoro” per i servizi di intermediazione e somministrazione di lavoro temporaneo.
Il Comune di Torino e le Aziende Sanitarie sono i finanziatori del progetto.[2]
Qualificare: Quali sono i principali risultati raggiunti?
Merana: Le risorse dedicate all’assistenza familiare (Assegno di cura e Buono servizio per chi ricorre ad una “badante” assunta o in somministrazione) ammontano complessivamente a circa 30 milioni di euro annui, di cui circa 1/3 viene assorbito dal Buono servizio.
Prestazione
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Costo annuo
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N. utenti anzini nel 2009
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Costo medio mensile per utente
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Buono servizio (per badante)
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€ 9.800.000
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3.030
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€ 270
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Assegno di cura (per badante)
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€ 21.000.000
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3.227
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€ 542
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La prestazione dell'assistente familiare con il Buono servizio, fornita dall'agenzia di somministrazione, ha un costo orario di € 10,90, a fronte di € 8,62 che è il costo previsto per i contratti non in convivenza superiori alle 24 ore settimanali. La remunerazione dell'agenzia di somministrazione si colloca pertanto nella differenza. A parità di corrispettivo economico erogato, il Buono servizio consente quindi di fruire, rispetto all'Assegno di cura, di un numero inferiore di ore di assistenza.
Le famiglie hanno mostrato nel corso del tempo una preferenza altalenante verso l’una o l’altra soluzione: all’inizio hanno preferito il Buono (nonostante i costi superiori dovuti alla presenza dell'agenzia di somministrazione) per le maggiori tutele offerte. In seguito alcuni beneficiari, fronteggiando con fatica il rapporto con l’agenzia di somministrazione, sono tornati all’assegno di cura. È attualmente in corso, da parte del Comune di Torino, una ricerca-azione tesa a indagare le motivazioni del tipo di prestazioni scelte dalle famiglie.
Le assistenti familiari complessivamente impiegate nel sistema domiciliarità del Comune di Torino erano circa 4.000 nel 2008 (raddoppiate rispetto al 2006), di cui metà assunte dalle famiglie beneficiarie dell’Assegno di cura e metà operanti in regime si somministrazione (Buono servizio). Nel 2010 sono impegnate nel sistema circa 5.000 assistenti familiari, per circa 8.000 utenti (con contratti di lavoro che non sono sempre a tempo pieno).
Per quanto riguarda la qualificazione del lavoro di cura, il Comune ha realizzato un percorso di formazione (corrispondente al I° modulo del percorso formativo OSS[3]), che ha complessivamente formato finora circa 900 assistenti, con il coinvolgimento dei fornitori, in quanto le ore prestate in attività lavorativa sono riconosciute come tirocinio.
Qualificare: Quali i punti di forza e le criticità del progetto?
Merana: Un punto di forza è l’aver fatto diventare servizio un’attività che molte famiglie svolgevano e finanziavano in proprio, arrabattandosi sia sotto il profilo della regolarità del lavoro che della qualità dell’assistenza.
L’assistenza familiare resta però un servizio privato a cui risulta faticoso dare una veste pubblica. È difficile inglobare nei meccanismi dell’offerta tradizionale dei servizi un rapporto che è basato su un aspetto fiduciario elevatissimo, per cui qualsiasi intermediario si introduca, rischia di diventare responsabile di tutti gli accidenti che sorgono nella relazione. Per questo motivo l’agenzia di somministrazione ha dovuto un po’ irrigidirsi rispetto alle richieste delle famiglie che la portavano poi ad aprire conflittualità in sede sindacale.
Infine, nonostante il budget a disposizione del progetto sia elevato, il costo della prestazione dell’assistente familiare rimane prevalentemente a carico delle famiglie. Il costo del servizio, quindi, deve confrontarsi con il potere d’acquisto delle famiglie che non è quello degli enti pubblici.
Vi sono, poi, problematiche organizzative da affrontare, connesse alla conciliazione del tempo richiesto dalla famiglia in relazione alle condizioni dell’assistito e alle proprie disponibilità e impegni, con il tempo di lavoro complessivo offerto all’assistente familiare, evitando parcellizzazione e frammentazione dell’occupazione offerta, anche in relazione alle distanze fra le abitazioni dei diversi assistiti assegnati .
[2] Essi, attraverso l’Unità di valutazione geriatrica e i criteri di accesso deliberati, valutano la sussistenza dei requisiti per accedere al sistema e il tipo di prestazioni adeguate ad ogni singolo caso (assistenza familiare, assistenza domiciliare, telesoccorso, ecc.), che vengono riportate nel Piano di Assistenza Individualizzato. Al bisogno assistenziale, espresso in termini di intensità (bassa, media, medio-alta) corrisponde un budget mensile di spesa che va dagli 800 euro (bassa intensità) ai 1.640 (medio-alta intensità), graduato diversamente a seconda che la persona disponga o meno di una rete familiare. A seconda delle condizioni economiche del beneficiario, può essere richiesta al cittadino una compartecipazione ai costi degli interventi previsti nel Piano Assistenziale Individualizzato (PAI) domiciliare. L'eventuale quota di contribuzione dovuta dalla persona in base alle sue condizioni economiche va a diminuire l'importo effettivamente erogato per l'assegno di cura o il valore del buono servizio.
Nel caso del servizio di assistenza familiare, quando la famiglia non è in grado di gestire la regia del Piano, viene inserita nel PAI anche la prestazione di un OSS (Operatore Socio Sanitario) che funge da regista del progetto, in termini di collegamento tra le diverse figure coinvolte e di riferimento e supporto professionale in situazioni complesse e per specifici bisogni. Si tratta di una competenza particolare richiesta all’OSS, diversa da quelle previste dal sistema della formazione professionale tradizionale, che consiste sostanzialmente in un compito di case manager.
[3] In Piemonte si tengono da alcuni anni corsi di formazione per assistenti familiari, sulla base del 1° modulo del percorso formativo OSS, della durata di 240 ore, comprensive del tirocinio. Non esiste ancora un atto normativo che disciplina la formazione delle assistenti familiari, ma secondo la LR 10/2010 sarà a breve definito.