di Gino Mazzoli - Psicosociologo, consulente progetto Madreperla, Reggio Emilia
Dicembre 2005
Il tema delle assistenti famigliari private (le cosiddette "badanti") può essere considerato a due livelli di profondità.
A un primo livello lo si può vedere come l'incrocio fra i due fenomeni demografici più rilevanti della nostra epoca nei paesi occidentali: immigrazione e aumento della popolazione anziana. Nello specifico si tratta dell'incrocio fra due tipologie di soggetti deboli, entrambi utenti attuali o potenziali dei servizi:
- anziani spesso non autosufficienti con patologie sovente al confine tra il neurologico e lo psichiatrico, di non facile lettura diagnostica, ma di sicuramente aumentato onere gestionale;
- donne immigrate (spesso in condizioni di clandestinità), provenienti dai Paesi del cosiddetto secondo mondo, con un discreto livello di istruzione.
Una prima lettura, che circola soprattutto nei servizi, tende a ridurre la questione a un problema di qualificazione del servizio di assistenza agli anziani erogato dalle badanti, tramite corsi di formazione e percorsi di tutoring rivolti, ovviamente, solo alle immigrate "regolari". Da questa visione conseguono alcuni corollari: incentivi economici alle famiglie che "mettono in regola" la badante assunta, aspettative che i servizi per l'impiego svolgano un'efficace e trasparente raccordo tra domanda e offerta, ecc..
Questa posizione, benchè molto attenta ai diritti delle donne immigrate e degli anziani assistiti, rischia di:
- aumentare la soglia dell'invisibilità del mercato clandestino (2)
- considerare l'anziano a prescindere dal proprio contesto famigliare
- sottovalutare il ruolo delle relazioni informali nella costruzione di rapporti con l'articolato arcipelago delle badanti.
Una seconda lettura, che circola soprattutto nel privato sociale e specialmente nel mondo cattolico, enfatizza maggiormente la dimensione dell'accoglienza di queste donne all'interno delle nostre comunità, visibilizzando la crucialità delle relazioni informali.
A queste attenzioni tuttavia si accompagna spesso una scarsa assunzione delle ambivalenze presenti tra i diversi attori in gioco e, di conseguenza, un eccessivo ottimismo nella considerazione dei reciproci benefici (per la donna accoglienza e denaro, per la famiglia accudimento del proprio parente anziano), col rischio di sottovalutare gli aspetti di servilizzazione del lavoro e di razzismo strisciante che questo fenomeno porta con sé.
E' come se la deregulation, sostenuta dagli uni in nome dell'accoglienza senza riserve, fosse l'altra faccia dell'eccessiva formalizzazione invocata dagli altri in nome della qualità del servizio da erogare e del rispetto della legge. Il limite di entrambe le posizioni ci sembra consistere nella difficoltà ad assumere il fenomeno nella sua complessità.
A un secondo livello le badanti possono essere viste come un dispositivo stabilizzatore (ed evidenziatore) di tensioni interne alle famiglie e ai servizi.
Incrociando le due visioni possiamo vedere nuovi aspetti. Se evitiamo infatti di pensare in modo separato ad anziani assistiti in modo poco qualificato e a donne immigrate da accogliere nella nostra comunità, e riusciamo a vedere il fenomeno "anziani assistiti da donne immigrate", emerge immediatamente la condizione dei care giver (i veri gestori del contratto con le badanti) e delle loro famiglie.
Se si trattasse solo di far emergere un po' di lavoro nero, non ci sarebbe nulla di nuovo rispetto a legioni di colf e baby-sitter, anche autoctone, che da decenni svolgono queste mansioni senza lasciare traccia fiscale.
Ma qui le famiglie sono sfidate a ingaggiare immigrate clandestine perché sfibrate dal carico di lavoro di cura che si riversa loro addosso,non solo per la gestione dei loro parenti anziani non più autosufficienti, ma più in generale per far fronte alla vita quotidiana.
Le reti sociali tradizionali si stano sfaldando (è un fenomeno globale dell'occidente - legato a una complessa serie di fattori (3) - che pone inquietanti interrogativi sulla natura di ciò che chiamiamo "sviluppo" e "qualità" della vita) e il carico del lavoro di cura verso i parenti anziani è sempre meno compatibile coi ritmi di lavoro in cui le famiglie si trovano collocate.
Credo che venga ancora troppo poco assunta sul piano politico la forza dirompente delle modificazioni (apparentemente piccole, in realtà epocali) che stanno avvenendo nella vita quotidiana di milioni di persone e di famiglie. Oppressi da mille opportunità occhieggianti da ogni dove, dal mito del "tutto a portata di mano", del no limits, del "basta un click", dell'adolescenza come modello identificatorio collettivo, dell'autodeterminazione assoluta (posso reinventare ogni giorno il mio destino), e costretti invece a misurarci con possibilità limitate e con una quota di eterodeterminazione da parte delle routine sociali forse superiore a quella vissuta dai nostri genitori, finiamo col sentirci perennemente inadeguati. Poiché le rappresentazioni mitologiche dominanti sono molto forti e le routine che le sostengono assolutamente invisibili ai più, la nuova condizione di grave povertà esperienziale in cui vive la maggior parte delle persone occidentali non viene riconosciuta; e questo moltiplica il senso di inadeguatezza.
Nel frattempo è cresciuta nella coscienza collettiva, anche grazie all'azione dei servizi sociali, una maggiore attenzione verso le persone deboli (minori, anziani, persone con handicap psichici e fisici,..) e una diffidenza verso l'istituzionalizzazione di queste persone (su cui non possono non aver influito decenni di assistenza domiciliare).
La badante così finisce per funzionare all'interno delle famiglie come dispositivo stabilizzatore di tensioni generate da un sovraccarico di lavoro di cura. Viene spesso utilizzata per una pluralità di funzioni (colferaggio, baby-sittering, piccole commissioni, ...) afferenti alla gestione di quella vita quotidiana così compressa dall'incalzare del tempo) che è il vero grande rimosso collettivo - e dunque il principale problema politico - della nostra epoca.
La badante spesso assume così le forme di una soluzione pre-moderna (la "tata") ai problemi delle famiglie contemporanee; e proprio nella misura in cui questa stabilizzazione funziona, si registra lo sconcerto e lo sdegno dei care giver quando la badante se ne va ("mercenaria!", "strumentalizzatrice di affetti!"), mettendo in crisi quel nuovo equilibrio faticosamente raggiunto.
La visione di questi problemi consiglia dunque di "sdoganare" il tema delle badanti da quello degli anziani (4). Tale indicazione viene rafforzata dalla considerazione di ciò che l'ingresso delle assistenti famigliari private rappresenta per il sistema dei servizi.
Innanzitutto i numeri sono eloquenti. Nella provincia di Reggio Emilia nel 2003 erano in servizio 3000 badanti regolari e la stima, per difetto, ne indicava altrettante clandestine. Se si pensa che ci si riferisce a un territorio di 430.000 persone in cui l'azienda di maggiori dimensioni è l'ASL - che conta 3.500 dipendent i-, si può immaginare l'impatto sul welfare locale di una così fitta schiera di "operatrici 24/24".
Per un paio d'anni le badanti hanno tamponato un picco demografico. Le case di riposo e le liste d'attesa stanno di nuovo riempiendosi, mentre non calano le badanti clandestine. E' una sfida che va oltre un semplice aggiustamento riguardo alla flessibilità dei servizi, e chiede un salto culturale, una nuova visione strategica del ruolo dei servizi nella società.
La necessità per i servizi di uscire dalle routine consolidate emerge dalla constatazione della presenza di due fenomeni clamorosi ancorché poco dibattuti:
- un'offerta di servizi che sta inconsapevolmente sostenendo la costruzione di caste sociali
- l'aumento del disagio invisibile
Il modo con cui è costruita l'offerta dei servizi (a volte proprio la loro forza e imprenditività) spesso impedisce la presa di contatto coi nuovi problemi che persone e famiglie vivono nello scenario tumultuoso che abbiamo prima descritto.
L'esito - paradossale - è che si stanno creando tre aree - fasce - di cittadini sempre più separate:
In una fascia che possiamo definire alta troviamo
- chi per censo può fare a meno dei servizi
- chi ha competenze culturali per utilizzare i servizi
In una fascia intermedia possiamo collocare
- chi rientra nei bisogni individuati dal mandato dei servizi (e, pur essendo afflitto da eventi o menomazioni gravi, viene pur sempre visto e cercato dai servizi)
E infine in fascia bassa abbiamo
- chi, pur rientrando nei bisogni "visti" dal mandato dei servizi, non può essere accolto per esubero della domanda rispetto all'offerta di servizi
- chi non ha competenze culturali per accedere ai servizi
- (e soprattutto) chi è portatore di problemi che non sono "visti" dal mandato dei servizi
Il risultato paradossale di tutto ciò è che vi sono aree iperassistite e aree ignorate. In sostanza delle caste che si creano e si consolidano silenziosamente.
I problemi non visti dal mandato tradizionale dei servizi aumentano perchè le forme del disagio si sono fatte sempre meno definibili secondo le categorie tradizionali: la devianza conclamata ha abbandonato la massiccia visibilità in piazze e strade e si è insinuata nella vita quotidiana di un numero crescente di famiglie normali: si è passati dal tossicodipendente in piazza allo sballo circoscritto al fine settimana, dal minore deviante in riformatorio a molti ragazzi problematici a scuola. Diminuiscono simultaneamente le aree della devianza conclamata e della "normalità", mentre aumenta la zona del disagio invisibile.
L'insieme dei disagi qui sommariamente elencato è aumentato esponenzialmente negli ultimi dieci anni, tanto che è difficile trovare qualcuno che non abbia nella propria famiglia o nella cerchia ristretta dei parenti una persona che non ne sia attraversata.
Da qui l'ipotesi di una genesi (anche) sociale di questi nuovi problemi.
Mi sembra dunque si possa dire che il welfare ha raggiunto una soglia critica, una specie di "punto di non ritorno", perché le forme che abbiamo conosciuto a partire dagli anni '70 (e che tuttora svolgono una funzione cruciale in diverse regioni del nostro Paese), non possono più contare su un consenso sociale diffuso, mentre sta crescendo l'adesione verso ipotesi di smantellamento (con la ripresa dell'antico codice della beneficenza).
Così, o questi servizi costruiscono nuove rappresentazioni dei problemi in campo, sintonizzandosi con le nuove domande dei cittadini, e riformulando sostanzialmente la loro mission, o rischiano, nella migliore delle ipotesi, di diventare prodotti di nicchia, un lusso per pochi, una spesa insostenibile perché senza consenso tra la gente; nella peggiore delle ipotesi rischiano di riprodurre il modello "tappabuchi casuale" tipico della beneficenza.
Il nuovo welfare dunque va costruito coi cittadini, allestendo contesti non demagogicamente o illuministicamente partecipativi, ma realmente concertativi in cui convocare non solo i soggetti già formalmente costituiti del pubblico e del privato sociale, ma anche le famiglie portatrici dei nuovi problemi per definirli e gestirli insieme.
Occorre insomma uscire dal meccanismo perverso stimolo-risposta "i cittadini segnalano un problema e la Pubblica Amministrazione istituisce un servizio" e di aprire all'idea che i cittadini non hanno solo diritti, ma anche doveri.
Questo tempo sembra chiedere ai servizi di trasgredire i mandati tradizionali, reinterpretandoli in modo nuovo e di pensarsi come attori di un contesto a crescente frammentazione sociale, diventando costruttori di nuovi legami dotati di senso e creatori di consenso intorno ai prodotti realizzati.
In sostanza il fenomeno delle badanti si colloca all'incrocio di tre povertà:
- quella di anziani in cui l'aumento del numero e della speranza di vita contrasta con l'aumento della solitudine e delle patologie al confine tra neurologico, psichiatrico e sociale;
- quella di donne immigrate da Paesi del cosiddetto "secondo mondo", di posizione sociale, cultura ed età non basse, con una situazione famigliare alle spalle spesso piuttosto difficile;
- e infine, ma non da ultima per importanza, quella di famiglie sfibrate da una società che va di fretta, che ci pressa con mille opportunità per lo più irraggiungibili e diffonde leggende irreali col risultato di produrre un diffuso senso di inadeguatezza ("se non ho il tempo di occuparmi di mia madre che soffre è perché non ho saputo organizzarmi e realizzarmi come avrei dovuto e come le opportunità tecnologiche e culturali che la società mi mette a disposizione mi avrebbero consentito di fare"); sono queste famiglie i datori di lavoro delle donne immigrate e i clienti principali dei servizi di welfare (non solo quelli per anziani).
Rispetto a questo complesso intreccio di attori, il fenomeno delle "badanti", tra le altre cose, evidenzia come la società si auto-organizzi con forme imprevedibili e con una velocità che non va sottovalutata.
Note
(1) I pensieri espressi in queste pagine provengono dal lavoro che ho svolto nel progetto Madreperla promosso dalla provincia di Reggio Emilia fra il 2003 e il 2004, con la collaborazione di numerosi attori del pubblico del privato sociale. Una versione più ampia si può trovare in MAZZOLI G. L'assistente familiare nel quadro del welfare locale, Autonomie locali e servizi sociali, Il Mulino, Bologna, 1/2004, pp 147-166.
(2) Sono i rischi legati alla posizione culturale di chi sottovaluta l'ambivalenza inscritta nella democrazia intesa esclusivamente come sistema di diritti. La democrazia, infatti - è stato sostenuto (GAUCHET M. La démocratie contre elle-même, Paris, 1998).
(3) BECK U. in La società del rischio (tr. it. 1986, Roma) li aveva indicati con sorprendente profeticità.
(4) Semplificare questo quadro rischia di condurci inconsapevolmente e "con le migliori intenzioni" verso i pericolosi crinali dell'etnodemocrazia, che è il lato oscuro dell'occidente, dove la cittadinanza è garantita dall'appartenenza a un certo ceto sociale. Mentre negli Stati Uniti o in India la vastità del territorio consente di segregare le persone emarginate in certi luoghi, in Europa siamo costretti a una compresenza territoriale che comporta sfide onerose. Le donne dell'est sembrano venute a scardinare la nostra autopercezione di persone e società democratiche: non hanno esperienza e consapevolezza di diritti che per noi sono acquisizioni decennali o secolari, e di conseguenza non ne chiedono il rispetto, colludendo con le nostre parti più regressive ("Stiamo troppo a preoccuparci dei diritti che dovremmo riconoscere a queste donne. Loro sono qui per prendere soldi. Le famiglie sono contente. Le donne immigrate pure. Perchè mai dovremmo fare tanti problemi sull'orario di lavoro?", mi sono sentito dire, durante un'intervista, da un responsabile di un'importante servizio). Per questo il tema delle "badanti" diventa una sorta di carotaggio del nostro senso civico, una sfida sul senso dello sviluppo (è un'infinita catena di esternalizzazioni: il mercato scarica funzioni sulla famiglia e questa a sua volta ne scarica altre sugli immigrati?).