La proposta di voucher universale: opportunitą e rischi

di Sergio Pasquinelli e Giselda Rusmini - Istituto per la Ricerca Sociale, Milano
Luglio 2014


 

Un welfare che fa i conti con i tagli alla spesa sociale e che valorizza il concorso di risorse private e familiari. E’ il “nuovo welfare territoriale”, che va diffondendosi in risposta al crescente divario fra bisogni sociali e risposte pubbliche nel nostro Paese. È una strada che si affianca e intercetta altri percorsi, come quelli attuati dalle imprese private attraverso gli interventi di welfare aziendale (il cosiddetto Secondo welfare) e quelli ormai consolidati delle famiglie, che hanno fatto ricorso a badanti e baby-sitter (il welfare “fai da te”).
 
Per questi attori è in arrivo una novità che potrebbe dare un nuovo impulso alle loro relazioni, sostenendone i percorsi in maniera sinergica: parliamo del voucher universale per i servizi alla persona e alla famiglia, di cui è stato recentemente presentato il disegno di legge.
 
Il voucher universale: opportunità…
 
Va finalmente profilandosi la realizzazione di un sistema nazionale in cui il lavoro privato di cura trova riconoscimento, stimolo alla qualificazione e sostegno. Un sistema che dovrebbe realizzarsi con il contributo e la valorizzazione di tutti i soggetti pubblici e privati del settore sociale e delle imprese. L’intento della proposta è quello di mobilitare risorse aggiuntive a quelle pubbliche, offrendo diversi vantaggi ai vari attori, in particolare aziende soprattutto di medie e piccole dimensioni, e famiglie.
 
Gli strumenti a garanzia della qualità delle prestazioni, che secondo la proposta di legge dovrebbero essere introdotti, sono:
 
1. Un registro nazionale delle imprese, organizzazioni e associazioni accreditate ad offrire i servizi che possono essere pagati con il voucher universale (ad esempio asili nido, centri diurni per anziani, ecc.), che verrebbero dotate di un marchio di qualità per i servizi prodotti.
 
2. L’istituzione di albi e registri regionali dei collaboratori domestici e degli assistenti personali finalizzati a filtrare le candidature e permettere alle famiglie la selezione in vita del colloquio. I lavoratori che abbiano ottenuto la certificazione delle competenze possono essere iscritte agli albi regionali o frequentare i percorsi di formazione solo per i contenuti e le competenze da acquisire rispetto ai rispettivi standard.[1]  
 
3. Un sistema d’intermediazione pubblico e privato che faciliti l’incontro fra le famiglie e i collaboratori domestici in sinergia con gli albi regionali. La proposta di legge sottolinea l’importanza che nelle attività d’intermediazione siano coinvolte anche le organizzazioni non a scopo di lucro, le parrocchie e altre associazioni attraverso l’istituto dell’accreditamento regionale.
 
L’opportunità, in estrema sintesi, è quella di gettare le basi per un cambiamento di cultura rispetto al “fare welfare” e al lavoro privato di cura.
 
… e rischi
 
Il testo della proposta non chiarisce perfettamente le relazioni tra i diversi attori. L’applicazione pratica potrebbe dare ampia libertà di attuazione, limitando fortemente la spinta alla qualificazione del lavoro privato di cura. In particolare, intravvediamo alcuni rischi che andrebbero scongiurati in sede di definizione del provvedimento[2]:
 
- Fare leva solo sull’incentivo fiscale. La detraibilità del 33 per cento degli oneri sostenuti per il pagamento dei servizi fino ad un massimo che va da 6 mila a 8 mila euro in relazione alla presenza di bambini e di persone disabili o di anziani non autosufficienti, che in teoria dovrebbe allineare il costo di una badante in nero con quello di una assistente familiare assunta, è certamente un incentivo importante. Tuttavia la preferenza per il mercato deregolato è sostenuta anche dalla libertà da vincoli, obblighi e incombenze burocratiche che lo caratterizzano.

 - La proposta non tiene conto di varie misure già esistenti e in particolare dell’indennità di accompagnamento.  Introdurre un voucher di questo tipo senza collegarlo, integrarlo con l’indennità di accompagnamento ci sembra una occasione sprecata, una stratificazione di interventi che si sovrappongono. E’ vero l’indennità di accompagnamento viene citata ma per affermare qualcosa che paradossalmente va nella direzione opposta a quella da noi auspicata. Si prevede infatti che per i percettori di questa misura la detrazione fiscale sia “ridotta nella misura dell’indennità stessa”. Il che vuol dire togliere 6.000 euro di detrazioni annui su un massimo che arriva a 8.000. Non è chiara la ragione di questa decisione, che penalizza i beneficiari dell’indennità di accompagnamento, 1,7 milioni di persone di ogni età, i quali perdono ogni vantaggio a usufruire del voucher universale. Questo, per gli ultra-sessantacinquenni, si rivolgerà così a una platea minoritaria di anziani non autosufficienti senza indennità di accompagnamento.
 
- Concentrare le attività di sportello sui soli Centri per l’Impiego o servizi per il lavoro. Il sistema d’intermediazione pubblico-privato, così come abbozzato della proposta di legge, non chiarisce il ruolo delle organizzazioni non a scopo di lucro, delle parrocchie e delle altre associazioni, che dovrebbero essere coinvolte nell’operazione. Inoltre, sembra escludere i Comuni e i relativi servizi sociali di base, ben competenti in azioni di orientamento, informazione e counselling per le famiglie. L’intermediazione, nel caso delle persone non autosufficienti, richiede competenze nella lettura dei bisogni che difficilmente un servizio per il lavoro può offrire.
 
- Livellare verso il basso i requisiti minimi di accesso ai registri degli assistenti. La proposta, da un lato prevede l’individuazione di requisiti minimi per l’iscrizione ai registri (in particolare, allo scopo di escludere le persone con precedenti penali), dall’altro promuove la valutazione delle competenze e la formazione. Il rischio è che l’applicazione pratica si limiti al primo step, soprattutto nelle regioni che non si sono ancora attivate nella direzione di qualificare il lavoro privato di cura. Solo 14 Regioni, infatti, hanno disciplinato il percorso formativo per l’assistente familiare, e ancora rare sono le esperienze di certificazione delle competenze e di istituzione di registri regionali[3]
 
- Incentivare l’assunzione diretta, a scapito dei servizi offerti da imprese e strutture. La proposta di legge mette sullo stesso piano interventi individuali (di colf e badanti) e interventi forniti da imprese e strutture i cui costi, a parità di servizio, sono più elevati perché fanno riferimento a contratti di lavoro diversi. Il rischio è di incentivare il mercato individuale della cura, penalizzando le famiglie che preferiscono non avere un lavoratore alle loro dipendenze, ma ricevere un operatore domiciliare dipendente da altri[4]. Ciò va nella direzione opposta all’obiettivo di semplificare l’utilizzo dei servizi alla persona e ridurre gli oneri amministrativi e gli altri adempimenti burocratici che gravano sulla famiglia, contenuto nella proposta.
 
Tutti questi rischi vanno nella direzione di offrire un servizio “di base”, limitato al solo (seppur importante) sgravio fiscale. In questa eventualità il servizio di intermediazione tenderebbe al modello “informativo”, in cui ci si limita a segnalare alle famiglie i nominativi e il recapito delle persone che si propongono come assistenti familiari. Ma la pura intermediazione tra domanda e offerta di lavoro coglie solo una dimensione dei bisogni in gioco, che riguardano anche ascolto, lettura del bisogno, bilancio delle competenze, accompagnamento al rapporto.
 
Fare rete
 
Se dunque il voucher universale si pone come un mezzo per mettere a sistema le risorse dello stato, dei servizi pubblici e del privato (famiglie, imprese), nella direzione di costruire un sistema di servizi alla persona e alla famiglia più efficiente, di qualità e con costi sostenibili, è nella sua concreta realizzazione che questa ricomposizione va attuata.
 
L’obiettivo è alto e condivisibile da tutti. Perseguirlo coinvolgendo in maniera articolata i vari attori può generare coesione, al di sopra degli individualismi. È necessario però che nel percorso le singole identità non siano annullate, ma riconosciute e valorizzate per ciò che possono offrire.
 
In quest’ottica, l’istituzione del voucher più che un punto d’arrivo rappresenta l’occasione per dare avvio, nei vari territori, ad un percorso di progettazione in cui pubblico, privato e famiglie possano esprimere le proprie specificità e essere al tempo stesso costruttori e beneficiari di un sistema di welfare capace di offrire risposte soddisfacenti e condivise.



[1] Secondo la proposta, al Ministero del Lavoro spetta  la definizione degli standard minimi relativi ai diversi profili professionali, oltre alla durata minima e i contenuti formativi per ogni profilo.

[2] Le considerazioni che seguono riprendono in parte i contenuti dell’articolo di Sergio Pasquinelli e di Emanuele Ranci Ortigosa,  Il sociale in attesa, in Prospettive Sociali e Sanitarie, n. 2.2/2014 e del post di Sergio Pasquinelli Bambini e anziani: arriva il voucher universale, pubblicato su Scambi di Prospettive.

[3] Per approfondimenti si rimanda a Rusmini G., I progetti di sostegno del lavoro privato di cura: un bilancio, in Pasquinelli S., Rusmini G. (a cura di), Badare non basta, Ediesse, 2013.

[4] Sull’importanza di offrire assistenza tutelare a domicilio in maniera articolata, da adattare alla specifica situazione familiare, rimandiamo al contributo di Maurizio Motta Criteri per costruire buona assistenza domicliare ai non autosufficienti, pubblicato su Qualificare n. 37/2013.


 

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