Welfare Transnazionale. La frontiera esterna delle politiche sociali

di Petra Mezzetti - Centro Studi di Politica Internazionale, Roma
Febbraio 2013



L’Italia negli ultimi anni è diventata uno dei principali paesi di destinazione dei flussi migratori. Questo fenomeno obbliga a fare i conti con nuovi legami di interdipendenza che si instaurano con i paesi di origine. Gli strumenti del welfare locale non bastano più per garantire un buon governo dei processi migratori. Per assicurare la coesione sociale sui nostri territori e gestire problematiche e opportunità comuni legate al fenomeno migratorio (riunificazioni familiari; minori stranieri; apprendimento della lingua italiana; etc.) serve dunque un nuovo approccio cooperativo, nuove forme di welfare transnazionale e una rinnovata capacità - tanto più importante in un’epoca di crisi - di mettere a sistema le diverse risorse in gioco. Nel volume "Welfare Transnazionale. La frontiera esterna delle politiche sociali" (Ediesse, 2012), curato da Flavia Piperno e Mara Tognetti, queste tematiche vengono finalmente affrontate.

Il concetto di welfare transnazionale attorno a cui ruota il volume assume, nelle riflessioni teoriche e nelle analisi di alcune pratiche di cui il libro si compone, diverse sfaccettature che portano in evidenza il profondo legame di interdipendenza che si instaura tra sistemi sociali ai due poli del processo migratorio.

Una delle facce del welfare transnazionale è senz’altro quella legata alle ‘catene della cura’: la possibilità per le famiglie di ritrovare un equilibrio grazie al lavoro delle assistenti straniere e l’opportunità per il welfare pubblico di risparmiare risorse grazie a una parziale delega al mercato privato, crea un effetto opposto nei paesi di emigrazione. Qui la partenza delle donne lascia un vuoto di cura nelle famiglie di appartenenza e i sistemi di welfare locali lanciano l’allarme di una nuova pressione dovuta ai bisogni delle famiglie divise. In questa prospettiva, il legame tra sistemi di welfare ai due poli del processo migratorio, appare essenzialmente nella sua veste ‘sottrattiva’.

Sfogliando le pagine del libro e leggendo le esperienze raccontate dal consorzio CGM, dalla cooperativa Anziani e Non Solo, dall’ONG Soleterre, dall’associazione di immigrati senegalesi AssoB (narrata da Sebastiano Ceschi), emergono almeno tre aspetti di welfare transnazionale legato alle esperienze raccontate nel libro.

In primo luogo, il welfare transnazionale viene descritto come il welfare prodotto dagli stranieri. Non ci si riferisce quindi solo al contributo che gli stranieri offrono al PIL o alla crescita demografica, si parla anche, e soprattutto, di politiche che hanno valorizzato il ruolo delle assistenti familiari, delle infermiere straniere, così come delle associazioni di immigrati e delle famiglie di nuovi italiani, di cui si promuove l’azione di mediazione tra la propria comunità e la società ospitante.

In secondo luogo, il welfare transnazionale viene descritto come una nuova forma di sussidiarietà (una sussidiarietà che non è né orizzontale né verticale ma, appunto, transnazionale), che si esplica attraverso la costruzione di reti tra servizi e istituzioni in Italia e nei territori di origine. Si rileva infatti che, in un’epoca di flussi transnazionali, il servizio ‘più prossimo’, quello più direttamente in grado di incidere sulla vita delle famiglie italiane e straniere, non è necessariamente quello più vicino geograficamente. Si parla ad esempio di ‘integrazione dall’estero’ per ricordare che il percorso di integrazione, è fortemente influenzato dal bagaglio sociale che chi emigra porta con sé dal paese di origine. Questo bagaglio sociale non è costituito solo dalle opportunità di formazione e dal reclutamento all’estero, ma da tanti altri fattori quali: la capacità di orientarsi nel paese di arrivo, il possesso di titoli di studio riconosciuti, tutele trasferibili, una cultura del lavoro condivisa, legami familiari ancora forti, una visione realistica della situazione familiare e sociale che si troverà all’arrivo, e via dicendo. Tutte le organizzazioni che si raccontano nel libro parlano di come hanno lavorato su questo bagaglio, attraverso forme di coordinamento con i paesi di origine, proprio al fine di migliorare i processi di convivenza sui territori in Italia e di valorizzare i migranti e le loro famiglie come portatrici di welfare. Soleterre ad esempio ha creato una rete di consultori che operano in Italia, in Salvador e in Ucraina, dotati di analoghe risorse di personale, che aiutano i membri delle famiglie divise a ragionare meglio sul proprio progetto migratorio e a condividerlo su una base di realtà: questo migliora il bagaglio che ci si porta dietro nel momento in cui ci si ricongiunge o rafforza la scelta di non ricongiungersi, se è il caso.

Il terzo aspetto, che emerge dalle esperienze raccontate nel libro, è di un welfare transnazionale come co-sviluppo sociale. Si intravede la possibilità di affrontare in modo cooperativo alcune sfide comuni e di lavorare su interessi condivisi. È il caso della cooperativa Anziani e Non Solo, che ha lavorato assieme a Enti Locali e Agenzie di formazione in territori italiani, polacchi e rumeni, per creare un protocollo condiviso per il riconoscimento dell’esperienza professionale maturata nel settore delle professioni di operatore sociale e assistente familiare. Questo per consentire il possesso di un titolo riconosciuto, che può essere speso in Italia, dove la domanda di manodopera qualificata è in crescita, e nei contesti di origine, dove sono in crescita le cooperative sociali ed è forte il problema dell’invecchiamento della popolazione.

Tutti questi tratti innovativi portano ad un nuovo modo di vedere la cooperazione allo sviluppo con i paesi di origine. La cooperazione non più come beneficienza nei confronti dei paesi in via di sviluppo, né come condizionalità, mediazione tra interessi confliggenti (tradizionalmente quote in cambio di accordi di riammissione; corso di lingua in cambio di permessi di soggiorno). Piuttosto si afferma una visione cosmopolita, che sulla traccia delle riflessioni di Ulrich Beck, vede la cooperazione come formula per gestire sfide globali e condivise, anche nel campo della promozione del benessere sociale, tradizionalmente di dominio della sola politica interna. È questo un approccio carente, che ha timidamente sviluppato rapporti con l’Europa, mai con i paesi di emigrazione. In Europa l’ultima agenda sull’integrazione, che affida un ruolo importante ai partenariati con i paesi di origine per promuovere processi di integrazione dei migranti che arrivano o che ritornano, sembra compiere un passo in avanti in questa prospettiva. Proseguire in questa direzione rappresenta una via promettente per aprire nuove prospettive sia nel campo delle politiche sociali che della cooperazione allo sviluppo.
 

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