Ricerche

Un ritratto delle badanti valdostane
L'Associazione donne latino-americane "Uniendo raices" ha condotto uno studio sulle donne che operano come assistenti familiari presso le famiglie valdostane, basato su una trentina di interviste.
Emerge il legame forte con il proprio paese, e il desiderio di farvi ritorno per iniziare attività economiche che rendano autosufficiente la famiglia, punto di riferimento fondamentale sul quale si basa la scelta migratoria di queste donne. Il desiderio di ricostituire - magari temporaneamente - anche in Italia la propria famiglia si scontra con le difficoltà di procedere nella richiesta di ricongiungimento familiare e di trovare il tempo per curare i propri figli, a fronte di un impegno lavorativo che spesso è di 24 ore su 24.
Secondo lo studio, comune alla totalità delle assistenti domiciliari è la sensazione di sfruttamento che deriva dal dover passare tramite agenzie che propongono contratti considerati 'anomali' e visti come una necessità non gradita, mentre a volte i buoni rapporti che si instaurano con le famiglie delle persone assistite permettono di trattare direttamente con i datori di lavoro con sicura soddisfazione di entrambe le parti.
Da: http://www.comune.aosta.it/it/comune/aostainforma/feb06-pag15/

CeSPI: progetti e studi sulle assistenti familiari straniere
Il Centro studi di Politica Internazionale (CeSPI) lavora da diverso tempo sui temi del lavoro di cura, i sistemi di welfare ed i flussi migratori, in prospettiva internazionale. Gli studi compiuti si caratterizzano per l'interesse verso il legame tra migrazione e sviluppo socio-economico nei paesi di origine.
In questa prospettiva il CeSPI ha prodotto uno studio sui percorsi migratori e sull'impatto, nel paese d'origine, delle madri che partono dall'Ucraina e dalla Romania per venire in Italia a svolgere il lavoro di cura. I risultati di questa ricerca si basano su una vasta analisi empirica condotta attraverso interviste qualitative a  60 lavoratrici di cura rumene e ucraine residenti a Torino e Roma e 40 familiari di lavoratrici di cura (spesso appartenenti allo stesso nucleo delle donne intervistate in Italia) nei paesi di origine. Al fine di avere una visione più complessiva del fenomeno, sono stati inoltre intervistati circa 50 testimoni privilegiati in tutti e tre i paesi dove è stato svolto il lavoro di campo (per scaricare il rapporto di ricerca: www.cespi.it/WP/WP34%20Madri%20migranti.pdf).
Un altro studio, partendo dall'analisi della realtà migratoria, di cui le migrazioni di cura rappresentano una parte importante, suggerisce un ripensamento del legame tra migrazione e sviluppo, sulla base del quale re-indirizzare le strategie di cooperazione allo sviluppo  (il rapporto è scaricabile sul sito: www.cespi.it/SCM/strand2/fuga%20di%20welfare-Piperno.pdf).
Il CeSPI, nell'ambito di progetti di sviluppo socio economico nelle comunità di origine, sta conducendo un progetto di valorizzazione delle rimesse collettive della comunità andina (Bolivia, Colombia, Ecuador e Perù). Il progetto, denominato Juntos por los Andes si basa su un meccanismo moltiplicatore: per ogni euro raccolto dalle 20 associazioni di migranti che partecipano all'iniziativa si aggiungono 4 euro donati da partner pubblici e privati. Questo permetterà di costituire un fondo destinato a finanziare la realizzazione di progetti sociali e di solidarietà (scarica qui il progetto).
Per informazioni: tel. 06 69.90.630  cespi@cespi.it   www.cespi.it

Le pensioni dei lavoratori immigrati
L'Osservatorio Romano sulle Migrazioni ha condotto uno studio, promosso dalla Caritas diocesana di Roma e dalla Provincia di Roma, in collaborazione con la Direzione generale dell'INPS, sulla situazione attuale dei pensionati stranieri in Italia e sullo scenario per il prossimo futuro.
Oggi gli immigrati percettori di una pensione di vecchiaia sono circa 100 mila, hanno un'età media supera i 70 anni e per la maggior parte non riconducibili a paesi a forte pressione migratoria. La ricerca stima che nei prossimi 15 anni vi saranno 315 mila nuove pensioni corrisposte a lavoratori immigrati. I nuovi pensionati saranno soprattutto donne, circa 207 mila, impiegate nel lavoro domestico, che matureranno la pensione in anticipo rispetto agli uomini (60 anni, contro 65).
Secondo lo studio, "sussiste il rischio molto concreto che gli immigrati di prima generazione, dopo aver svolto un ruolo estremamente positivo a beneficio del paese di arrivo, con il loro lavoro, e del paese di origine, con l'invio delle rimesse, al momento del pensionamento possano andare incontro a processi di emarginazione". Ciò a causa del lavoro nero, che comporta una minore quota di contributi versati e conduce, in un regime pensionistico di tipo contributivo, ad una penalizzazione in termini di entità della pensione.
Fin quando gli immigrati sono ineriti nel mercato occupazionale e fin quando la loro salute è buona, essi riescono a far fronte alle spese per la sussistenza, ad affittare casa e talvolta anche a comprarla, ad allevare i figli e anche a risparmiare per i familiari rimasti in patria: nel periodo della loro vita attiva, salvo casi limitati, non sono di per sé una categoria da assistere, ma potrebbero diventarlo quando diventeranno anziani e si ritireranno dal lavoro con pensioni di modesta entità.
Scarica la sintesi del rapporto "Gli immigrati nel sistema pensionistico"
Da: http://www.stranieriinitalia.it/news/pensioni7feb2007.htm

Gli immigrati in Lombardia
Nel 2006 i cittadini stranieri presenti in Lombardia erano 860mila, pari al 9% della popolazione regionale, provenienti prevalentemente dall' Europa dell'Est (circa il 20%), dal Nord-Africa (16%) e dall'Asia (15%).
Secondo i calcoli e le stime dell'Osservatorio Regionale per l'integrazione e la multietnicità, raccolti nel VI Rapporto sugli immigrati in Lombardia, gli irregolari sarebbero 150mila, pari al 9% degli stranieri residenti in Regione.
Gli occupati regolari sono circa il 60%. Gli uomini sono impiegati per lo più come operai edili o dell'industria, (settori in cui operano complessivamente il 27,3% degli immigrati lombardi), mentre le donne lavorano prevalentemente nel settore dei servizi alle famiglie, come colf o assistenti alla persona (il 18,8% ad ore, il 7,5% a tempo pieno).
Il livello di istruzione è piuttosto elevato: il 15,5% ha la laurea, il 41,8% ha terminato la scuola secondaria superiore; solo il 9,4% non ha alcun titolo.  Fra i dati più significativi messi in luce dalla ricerca vi è l'incidenza degli alunni stranieri sulla popolazione scolastica complessiva che è pari all'8,1%, quasi il doppio della media nazionale (4,8%).
Scarica la sintesi del rapporto "Gli immigrati in Lombardia" e le Tabelle
Da: http://www.stranieriinitalia.it/news/ismu22mar2007.htm

Cosa è cambiato nella cura dei malati di Alzheimer?
A sette anni dalla realizzazione dell'indagine "La mente rubata. Bisogni e costi sociali della malattia di Alzheimer", il Censis in collaborazione con l'Associazione Italiana Malattia di Alzheimer (AIMA), e con il supporto di Janssen-Cilag, Lundbeck, Novartis e Pfizer, ha nuovamente indagato il fenomeno.
Secondo le stime, i malati di Alzheimer in Italia sono attualmente 520.000, con un incremento di 80.000 nuovi casi all'anno. La ricerca, basata su 401 interviste ai caregiver di malati diagnosticati e non istituzionalizzati, è finalizzata ad indagare la condizione dei malati (con particolare attenzione al carico assistenziale che pesa sui familiari ed al relativo impatto economico, sociale e psicologico), i mutamenti dell'offerta di cure, i bisogni e le aspettative dei malati e dei loro familiari.
Una delle variazioni più importanti nel modello di assistenza riscontrate tra le due rilevazioni consiste nell'aumentato ricorso alle assistenti familiari private a pagamento. Questo sostegno, a cui ricorre il 40,9% delle famiglie coinvolte nell'indagine, sembra tuttavia produrre ricadute limitate in termini di riduzione degli oneri assistenziali del caregiver, "come se il diffuso utilizzo di questa figura professionale (anche in virtù della poca specializzazione) fosse in gran parte destinato più all'espletamento degli oneri domestici, all'affiancamento più che alla sostituzione del caregiver nella cura e nell'assistenza del malato".
Scarica qui la sintesi del rapporto di ricerca
Da: http://www.alzheimer-aima.it/

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