Una persona di famiglia? Oltre la privatizzazione dei rapporti di lavoro

di Maurizio Ambrosini - Università degli Studi di Milano, Dipartimento di Studi Sociali e Politici
Febbraio 2007

 

Il nuovo contratto di lavoro per le collaboratrici familiari (circa mezzo milione in Italia, secondo i dati INPS, ma di fatto molte di più, se si tiene conto dell'esteso sommerso che caratterizza il settore), distingue tra un profilo professionale addetto  alla manutenzione della casa, e un profilo dedicato all'assistenza alle persone. Questa figura professionale pressoché nuova merita qualche riflessione più puntuale.

Anzitutto, è un chiaro segno dell'affanno crescente del nostro sistema di welfare e della sua difficoltà a tener dietro all'evoluzione della società. Alla crescita dei grandi anziani non ha corrisposto un incremento adeguato dei servizi pubblici ad essi destinati. Ma si vanno prosciugando anche le risorse del cosiddetto welfare invisibile, ossia il lavoro non riconosciuto e non pagato delle donne (mogli, madri, figlie…), che all'interno delle famiglie si sono pressoché da sempre fatte carico delle esigenze dei congiunti più fragili.

Si verifica così, come è stato notato, un drenaggio di risorse affettive e relazionali da paesi più poveri, per compensare il deficit di questi impalpabili elementi nella nostra organizzazione sociale e familiare. Per questa ragione, il termine "badante" è riduttivo e ingiusto: queste donne sono chiamate ad assicurare servizi che vanno ben oltre il semplice "badare" agli anziani loro affidati. Li assistono, fanno loro compagnia, cercano di  tenerli su di morale, forniscono prestazioni delicate e para-infermieristiche. Ricorrere a loro significa aderire ad una "cultura della domiciliarità" sempre più diffusa, che respinge l'istituzionalizzazione degli anziani e cerca di mantenerli a casa propria.

Uno degli aspetti impliciti nel rapporto di lavoro dell'assistente domiciliare, come preferiamo chiamarla, è pertanto la tendenza alla familiarizzazione: si chiede di fatto a questa lavoratrice di colmare il vuoto lasciato dai veri familiari, di diventare, come spesso si dice, "una persona di famiglia". In questo modo, il rapporto di lavoro si carica di sottintesi, e anche di ambivalenze. In un certo senso, ritorna ad un assetto premoderno, in cui il "padrone" è anche "patrono", si fa carico di molti aspetti della vita personale e familiare della lavoratrice. Nello stesso tempo, in parecchi casi tende a chiedere una dedizione e una disponibilità che eccede i rapporti contrattuali. Ci si attende per esempio la manifestazione di una dolcezza, un'amorevolezza nei confronti dell'anziano da assistere che non necessariamente corrisponde ai suoi sentimenti, e che non si chiederebbe a un'infermiera italiana.

In secondo luogo, questo settore ha bisogno in permanenza di persone disposte a convivere giorno e notte con i datori di lavoro. Ciò significa preferire persone sole, isolate, senza familiari in Italia; e anche eventualmente prive di permesso di soggiorno. Qui può subentrare una sorta di abusivismo di necessità: se non è possibile assumerle regolarmente, molti si sentono autorizzati a farle lavorare "in nero" attendendo la prossima sanatoria. Gli eventi invalidanti sono spesso improvvisi e non seguono il calendario dei decreti ministeriali per le autorizzazioni all'ingresso. Non guardano neppure al censo, e quindi toccano anche famiglie a basso reddito, per le quali stipendio e contributi pieni sono un onere insopportabile. Sarebbe necessaria una politica molto più robusta di voucher,   oltre all'immediata possibilità di regolarizzare i rapporti di lavoro, per socializzare i costi e far emergere il lavoro nero.

Va infine ricordato che queste lavoratrici hanno spesso alle spalle delle famiglie e dei figli molto giovani. Partono per poterli mantenere e assicurare loro un futuro, ma questa scelta drammatica provoca lacerazioni e ferite emotive profonde. Anche per questa ragione, il lavoro fisso a domicilio dovrebbe rappresentare al più una fase di passaggio, seguito dal ricongiungimento familiare e dall'apertura di  altre opportunità. Nel campo dell'assistenza, la soluzione auspicabile è quella del superamento della privatizzazione del rapporto di lavoro tra famiglie e assistenti domiciliari, interponendo soggetti organizzativi terzi (enti bilaterali, istituzioni pubbliche, imprese sociali, …), che, assumendo la lavoratrice, la collocherebbero in una posizione più simile a quella di un normale dipendente. I relativi costi non potrebbero che essere assorbiti dalla collettività, che non può illudersi di risolvere i problemi dell'assistenza agli anziani con il fai-da-te del welfare informale.

 

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